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Film

“La grande bellezza” è Oscar:
uno sguardo impietoso sulla fine dei valori

Il film di Paolo Sorrentino è stato premiato come miglior film straniero. L'Oscar torna in Italia dopo 15 anni, quando era stato conquistato da Benigni con "La vita è bella". Una storia "felliniana", quasi la riedizione de "La dolce vita" ai nostri giorni, con un'analisi dura e visionaria. Il giudizio dell'Acec.

3 Marzo 2014

La grande bellezza di Paolo Sorrentino ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero. «Grazie alle mie fonti di ispirazione Federico Fellini, Martin Scorsese, Diego Armando Maradona, a Roma, a Napoli e alla mia più grande bellezza personale, Daniela, Anna e Carlo». Queste le prime parole del regista italiano dopo aver ricevuto l’Oscar.

L’Oscar torna in Italia dopo 15 anni. L’ultimo ad aver conquistato la statuetta era stato Roberto Benigni con La vita è bella nel 1999. Ad annunciare la vittoria della Grande Bellezza sono stati Ewan McGregor e Viola Dacis. Sorrentino ha ricevuto il premio insieme a un entusiasta Toni Servillo e il produttore Nicola Giuliano.

 

La grande bellezza racconta la storia di Jep Gambardella che, arrivato a Roma a 26 anni, ha scritto un romanzo dal titolo "L’apparato umano", con grande successo di vendita e molte lodi della critica. Così si è inserito nella società romana delle feste e dei salotti. Quaranta anni più tardi, Jep conosce tutta la Roma che conta, non ha più scritto libri e si dedica ad articoli/intervisre per un giornale di gossip. A circondarlo c’è una moltitudine di personaggi, dislocati nei vari ambiti del sistema "cultura/spettacolo/politica/affari/chiesa".

Le giornate passano alla ricerca della festa alla quale andare la sera. Ma dopo balli, divertimenti e lunghi, snervanti discorsi, la stanchezza si fa sentire. L’arrivo di Suor Maria, anziana, sofferente, chiamata la "Santa", sembra mettere tutti di fronte alla necessità di fare delle scelte importanti. Qualcuno decide di lasciare la città, altri si rassegnano al silenzio. Il Tevere continua silenzioso a scorrere sotto i ponti.

Superato il mezzo secolo dalla Palma d’Oro vinta a Cannes da La dolce vita felliniana, forse i tempi erano maturi per un nuovo affresco sulla Roma contemporanea. Dice Sorrentino: «Rispetto alla bellezza della città, mi sento sempre come un visitatore sopraffatto dalla meraviglia. Eppure Roma è una città che lascia presagire indecifrabili pericoli, una sensazione di irrisolvibile, antico mistero, che ti puo far sentire fuori luogo».

L’Acec (Associazione cattolica esercenti cinema), nella sua presentazione del film osserva che «il regista accarezza i contorni monumentali e museali della città con insinuante aderenza, da subito alternando scenari del Sacro intinti nell’inchiostro con pagine profane intrise di decadente aggressività. I due aspetti procedono di pari passo, intraprendono la strada che conduce al "nulla". È la cifra dominante del copione, quella che Jep dichiara come obiettivo e che diventa una sorta di manifesto valido per tutti».

«La "grande bellezza" in realtà nessuno l’ha trovata, quella di strade e palazzi langue nella polvere dei secoli che passano, affidati a nobili e custodi come larve e mummie invisibili. Sui terrazzi e dentro le ville, esseri umani in lotta tra loro si agitano, mossi solo (quasi) da edonismo e piacere sfrenato. La cultura è un pretesto, la comprensione un’arma per prevalere sull’altro. Uno strisciante nichilismo corrode le menti, gela i cuori, la possibilità di salvezza è nella rinuncia o nella fuga».

«L’affresco è duro, serrato impietoso, da una parte realistico, dall’altra carico di segni e simbolismo anche oltre il necessario. È indubbio il fascino visivo di molte sequenze, ma nell’arco dei 142 minuti si fa strada l’impressione di una scrittura sovraccarica e un po’ forzata. La bellezza alla fine diventa sinonimo di tristezza e di declino, simbolo di perdita, della fine dei valori riconosciuti. Non tutta Roma, ma uno spicchio di Roma, quello attraente, insinuante, seducente. Una Roma uguale a quella di Fellini? L’interrogativo resta sospeso».

L’Acec segnala, inoltre, che dal punto di vista pastorale il film è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti.