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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Dal 19 marzo

La Crocifissione del Foppa al Diocesano:
l’esordio rinascimentale
del maestro lombardo

Lo straordinario capolavoro giovanile del pittore bresciano eccezionalmente esposto a Milano, durante la chiusura per ristrutturazione dell'Accademia Carrara di Bergamo. Segnò l'inizio della pittura del Rinascimento in Lombardia.

di Luca FRIGERIO

18 Marzo 2013

Fu Vincenzo Foppa il vero, grande padre della nuova pittura lombarda del Rinascimento. Generoso come molti, se non tutti, i padri. Instancabile per energia e creatività, geniale nelle invenzioni, sapiente nel segno e nel colore. Ai suoi “figli”, numerosi e grati in terra di Lombardia, lasciò un’eredità straordinaria di insegnamenti e di idee, da mettere a frutto e via via incrementare.

Bresciano d’origine, scomparso attorno al 1515 quasi novantenne, il Foppa viaggiò a lungo, studiando il gusto veneziano dei Bellini, osservando l’impronta del Mantegna, curiosando tra i fiamminghi e i provenzali attivi nel genovese. Da tutti apprese con curiosità e con umiltà. Eppure la sua pittura risultò infine unica e originale, interessata e partecipe alle nuove forme espressive, ma lontana sia dalla visione idealizzante dei toscani, sia dalla concezione archeologizzante degli umanisti. Una maniera, quella del Foppa, segnata piuttosto da un’atmosfera soffusa, da toni smorzati e composti, che, da allora in poi, sarà detta per l’appunto o, ancora più semplicemente, “lombarda”.

Quest’avventura ha una data d’inizio e un’opera prima: la data è quella del 1450, l’opera è la Crocifissione conservata all’Accademia Carrara di Bergamo, chiusa per importanti lavori di ristrutturazione, e quindi eccezionalmente presentata a Milano presso il Museo Diocesano, da martedì 19 marzo. Una tavola di smagliante bellezza che segna, appunto, non solo il grande esordio artistico di Vincenzo Foppa, ma anche il primo manifestarsi di un gusto di tipo rinascimentale in un autore lombardo.

Un arco di ispirazione classica, ripreso da modelli padovani, introduce la scena e si spalanca su un paesaggio cupo e solo apparentemente incantato, di sapore ancora tardogotico, in cui le torri e le mura di una Gerusalemme reinventata conducono lo spettatore fino all’orizzonte vibrante di una luce metallica. Un vero e proprio manifesto, insomma, di una nuova concezione spaziale prospetticamente articolata, eppure coinvolgente, emozionante, con quel Cristo ingrandito rispetto alle leggi matematiche delle proporzioni, il buon ladrone già illuminato dalla grazia divina, il cattivo tormentato da un diavolo che gli si attacca ai capelli ricciuti.

Di dimensioni contenute, 70 centimetri d’altezza per meno di 40 di base, questa giovanile Crocifissione del Foppa era forse destinata a una cappella o alla domestica contemplazione di qualche prelato. I corpi appesi ai legni, modellati da un sapiente chiaroscuro, rivelano il precoce interesse del pittore bresciano per le novità che Donatello andava plasmando in quel di Padova, con un’attenzione al dato ottico e luministico che resterà, da allora in poi, tipica dell’arte lombarda.

Il fatto che l’acerbo capolavoro foppesco sia oggi presentato proprio nei chiostri del convento di Sant’Eustorgio può diventare, così, anche l’occasione per rivedere e riscoprire uno dei cicli pittorici più importanti del secondo Quattrocento milanese, quello cioè che si dipana sulle pareti della mirabile Cappella Portinari, pressochè adiacente al Museo Diocesano stesso. Qui, infatti, come recitano i documenti, un «Vincenzo vecchio in quell’età raro» – sicuramente identificabile nel Foppa – ebbe a decorare nell’ultimo scorcio del secolo la cappella voluta dal banchiere fiorentino Pigello Portinari. Dove l’anziano pittore, guidato dai frati domenicani, seppe interpretare con raro senso narrativo alcuni episodi della vita di san Pietro Martire, sottolineandone il suo impegno nella lotta contro l’eresia e le sue doti taumaturgiche. Raggiungendo il culmine nella scena del martirio, dove il Credo mormorato diventa parola scritta col sangue che sgorga dalla ferita mortale. E non c’è tragedia, nonostante l’orrore dell’assassinio, ma serena, altissima professione di fede.