Alla vigilia di Expo, Milano si presenta al mondo con i suoi celebri monumenti e con i nuovi miti della più recente modernità, da piazza Castello a piazza Gae Aulenti. Ma ciò che vedranno i visitatori stranieri e gli abitanti riflette la vera anima della città? In effetti nessuna iniziativa sembra oggi ragionare su come Milano è diventata, come si è trasformata e cosa si nasconde dietro le nuove vetrine della città del terzo millennio.
La mostra “Milano Mai Vista”, a cura di Fulvio Irace e Gabriele Neri, nasce proprio dall’intenzione di rendere visibile la parte nascosta dell’iceberg urbano. Alla Triennale viene raccontato, attraverso una vasta selezione di progetti irrealizzati per Milano, ciò che la città sarebbe potuta essere se le porte della storia si fossero aperte e chiuse con tempi diversi, durante le tre grandi fasi storiche della sua trasformazione: l’ottocentesco Piano Beruto con l’asse di via Dante, la piazza del Castello e i nuovi quartieri; il Piano regolatore di Cesare Albertini negli anni Trenta con i primi grattacieli di piazza San Babila, l’asse della Stazione, piazza Diaz e la prima Fiera, la Milano verde dei razionalisti; la grande ricostruzione negli anni del miracolo economico con la visione della città aperta, il centro direzionale e la conquista della periferia, sino ai grandi cantieri di questi ultimi venti anni.
Il racconto è presentato in maniera dinamica e immersiva, grazie a un cortometraggio (realizzato da Francesca Molteni, MUSE) che mette a confronto la città reale e quella rimasta sulla carta.
Sono tanti i progetti per piazza del Duomo, San Babila, Brera, l’area della Fiera e di corso Sempione, Porta Vittoria, Garibaldi-Repubblica e altri luoghi della città che avrebbero potuto cambiare il volto della città che conosciamo: alcuni sono vere occasioni perdute, altri forse pericoli scampati, come ogni visitatore potrà giudicare da sé.
Anche se non realizzati, molti di questi progetti conservano viva l’originaria forza immaginativa, la visione utopica di alternativa al presente. In questo senso il percorso virtuale della mostra corrisponde a un’indagine sull’inconscio architettonico e urbanistico di Milano, capace di far affiorare un “rimosso” pieno di opportunità e di offrirlo alla reinterpretazione con gli occhi del presente e le richieste del futuro.
I progetti irrealizzati sono di diverso tipo. Ci sono progetti per concorsi che non ebbero esiti concreti (da quello per il piano regolatore di Milano del 1926 al concorso per la BEIC, la Biblioteca Europea di Informazione e Cultura) e progetti che non si sono aggiudicati il primo posto (ad esempio quello di Renzo Piano per l’area della ex-Fiera); progetti accantonati (la nuova sede dell’Accademia di Brera di Terragni, Lingeri, Figini e Pollini, degli anni Trenta) e progetti visionari da leggere per il loro carattere sperimentale, più che per l’effettiva realizzabilità (ad esempio il masterplan di Steven Holl per Porta Vittoria).
La mostra offre quindi un mosaico trasversale di una Milano “altra” rispetto a quella attuale: una città invisibile ma comunque presente nella memoria collettiva e costruita. Rinchiusi negli archivi, questi progetti tornano brevemente a vivere, come ospiti di carta chiamati a narrare i tempi della storia.
Il racconto della mostra, frutto di un’ampia indagine storica e archivistica, è accompagnato da una piccola guida che raccoglie i principali progetti “interrotti”: sulla copertina Alessandro Mendini ha voluto regalare il disegno di un padiglione Expo per piazza del Duomo, un’idea di accoglienza ottimista da parte di una città che ha sempre inseguito il sogno del futuro.