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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Cinema

Il Tertio Millennio Film Fest
nel segno del dialogo interreligioso e culturale

Giunto alla XX edizione, il festival, organizzato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo, in collaborazione con l'Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, ha avuto al centro della riflessione la questione femminile e la pace. Come spiega il presidente, don Davide Milani.

3 Novembre 2016

Il coraggio di perdonare dopo l’atroce male subito che ha travolto la propria vita strappando gli affetti più cari. Sono tre le donne protagoniste di “Canzoni d’amore oltre il genocidio”, il documentario di Giuseppe Carrieri sul genocidio in Ruanda, che è stato mostrato venerdì 28 ottobre in anteprima alla Filmoteca Vaticana e che sarà trasmesso da Tv2000 il 9 novembre. La presentazione è avvenuta nell’ambito della XX edizione del Tertio Millennio Film Fest, organizzato a Roma dal 25 al 29 ottobre 2016 dalla Fondazione Ente dello Spettacolo, in collaborazione con l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei.

Il festival è da sempre attento a indagare i temi legati alla spiritualità e dallo scorso anno promuove un progetto di rinnovamento nel segno del dialogo interreligioso e interculturale. Sull’esempio del “Cortile dei gentili”, promosso dal cardinale Gianfranco Ravasi, il Tertio Millennio Film Fest coinvolge, infatti, rappresentanti delle religioni cattolica, protestante, ebraica e islamica all’interno del proprio comitato di selezione per una proposta cinematografica nel segno della pace.

Linea di convergenza per tutte le culture chiamate in causa dalla rassegna quest’anno è stata la questione femminile. A don Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, abbiamo rivolto alcune domande.

Come s’inserisce il documentario sul genocidio in Ruanda nel contesto del Tertio Millennio Film Fest?
Innanzitutto per il tema del perdono, un’esperienza che è insita nelle grandi religioni e che per noi cattolici è stata dettata dal Giubileo della Misericordia che stiamo vivendo. Avendo caratterizzato il nostro festival sui temi della spiritualità questo aspetto è centrale.

L’attenzione sulle donne, protagoniste di questo documentario attraverso i loro racconti, è un modo per sentire dalle voci di chi c’era il dramma vissuto.

Il festival è giunto alla XX edizione: come è cresciuto in questo tempo?
È cresciuto in notorietà e prestigio. Abbiamo molti registi e molte istituzioni che ci propongono ogni anno di partecipare: questo ci riempie di onore. Ha raggiunto grande notorietà per il lavoro che monsignor Dario Enrico Viganò e don Ivan Maffeis hanno fatto per plasmare e far crescere la manifestazione. Negli ultimi due anni è cresciuto anche per l’intuizione molto felice di aprirlo alle altre comunità religiose. Inoltre, il festival è policentrico: si è aperto alla Casa del cinema, vive soprattutto nella Sala Trevi, ma anche nelle comunità religiose come nel Centro ebraico italiano II Pitigliani o nella sala comunitaria della Chiesa valdese.

Cosa indica questa svolta ecumenica e di dialogo interreligioso?
Vogliamo dire che il dialogo ecumenico e interreligioso non è da affidare solo agli addetti ai lavori – teologici, vescovi, ministri di culto – ma che tocca la vita di tutti i giorni: sono ecumenismo e dialogo interreligioso veri quando hanno a che fare con la nostra vita. Quotidianamente abbiamo a che fare con persone che vivono tradizioni religiose differenti.

Usare il cinema per mostrare spaccati di vita e per riflettere è un passo in avanti per questo ecumenismo e dialogo interreligioso della quotidianità.

La questione femminile è stata al centro del festival: che donna è emersa dai film proiettati?
È risultato evidente che la condizione della donna è ancora problematica in tutte le parti del mondo, anche nel nostro Occidente, come ha mostrato il film “La ragazza senza nome” dei fratelli Dardenne, e non solo in quei Paesi che noi occidentali giudichiamo in via di sviluppo, più arretrati o dove è predominante una religione anziché un’altra.

Nella società odierna quale ruolo possono ricoprire il cinema, l’arte, la cultura? E, in questo senso, come si posizione il festival?
C’è bisogno di una cinematografia che torni a narrare le istanze più profonde del cuore dell’uomo come abbiamo visto nel documentario di Carrieri sul tema del perdono. Molto cinema si sta indirizzando su questa strada: non raccontare più storie grandissime, ma vicende all’apparenza minime, che in realtà sono nel cuore dell’uomo. C’è bisogno di film che parlino dei problemi della vita concreta, altrimenti l’uomo si sente solo con i propri drammi quotidiani. Serve una cinematografia che sa raccontare queste piccole parabole e aiuta il pubblico a riflettere. Il compito di un festival come il nostro è di far circolare le idee proponendo piccoli film che non riescono a entrare nei grandi canali di distribuzione e che invece hanno così la possibilità di essere visti. Il cinema nella forma tradizionale corre il rischio di diventare un’esperienza di élite. Manca l’educazione all’immagine, mancano percorsi di accompagnamento per entrare in questo linguaggio che apparentemente è facile ma che come tutti i codici ha bisogno di educazione per essere compreso. La Fondazione Ente dello Spettacolo guarda con simpatia e coraggio ad altre forme con cui si manifesta quello che una volta veniva chiamato audiovisivo. Pensiamo alle web series e alle grandi serie tv.

Come si immagina la prossima edizione del Tertio Millennio Film Fest?
Sicuramente non mancherà l’esplorazione di come l’uomo cerca i valori assoluti che lo reggono.