C’è un Boccioni mai visto, con la figura di una donna seduta in poltrona e, sul retro, un ritratto del poeta futurista Luciano Folgore, con tanto di dedica autografa. E poi c’è un Sironi dei primissimi anni Venti: una periferia in bianco e nero che urla di solitudine e di angoscia. Ma c’è anche una marina di Carrà datata “1945”, leggera e spensierata per buttarsi alle spalle la tragedia della guerra. Per non parlare del materico scorcio veneziano di De Pisis, dell’arioso paesaggio lombardo di Tosi, delle damine carnevalesche di Campigli e di quelle esotiche di Fiume, della dorata natura morta di Ajmone, e via continuando con Semeghini, Rosai, Lilloni, Tamburi…
Non siamo al Museo del Novecento di Milano, ma al Museo dei Cappuccini di via Kramer. Dove, effettivamente, da qualche giorno il pubblico può ammirare delle opere “inedite” di alcuni tra i più significativi protagonisti della pittura italiana del secolo scorso. Si tratta di un’intera raccolta che il collezionista stesso, Giuseppe Rusconi, 97 anni, milanese, per stima personale e amicizia antica ha voluto affidare proprio ai frati di via Piave. Una “donazione”, o più precisamente un affido in deposito, così importante (ben 16 quadri) che gli spazi espositivi sono stati completamente ripensati, con un ampio lavoro di ristrutturazione.
Oggi, insomma, il Museo milanese dei Beni culturali dei Cappuccini appare rinnovato e arricchito. Chi ancora non lo conosce potrà scoprire una realtà culturale vivace e originale, che accanto all’esposizione permanente dei pezzi storici e delle notevoli opere artistiche organizza periodicamente interessanti mostre tematiche e incontri di approfondimento. Mentre i visitatori che in via Kramer sono di casa ritroveranno anche in questo nuovo allestimento, curato con passione dalla direttrice Rosa Giorgi, una rassicurante “aria di famiglia”, percepibile fin dai colori e dalla caratteristica illuminazione.
Un percorso museale che ora si apre proprio con l’amata e preziosa “Madonna del Lazzaretto”, una formella dipinta della seconda metà del Quattrocento della bottega fiorentina del Rossellino che era venerata nel Lazzaretto di Milano e che fu poi donata dal cardinale Federico Borromeo ai frati cappuccini come segno di ringraziamento per il servizio svolto durante la peste del 1630. La peste “manzoniana”, appunto: così che in apposite vetrine sono esposti e valorizzati non soltanto i volumi delle prime edizioni dei Promessi sposi, ma anche autentici cimeli del suo autore (come una fotografia autografata con annessa ciocca di capelli, per la gioia dei fans più… sfegatati del Manzoni!).
Questo museo, del resto, è nato ormai una ventina di anni fa per conservare, tutelare e valorizzare particolari “gemme” del vasto patrimonio dei Cappuccini della provincia lombarda (soprattutto in seguito all’inevitabile chiusura di diverse comunità), ma anche per raccontare la storia e la vita stessa di quest’ordine francescano, attraverso vicende esemplari e soprattutto nella quotidianità. Motivo per cui accanto a opere di assoluto valore artistico (come lo strepitoso disegno dell’Immacolata di Camillo Procaccini, l’impressionante Estasi di san Francesco di Ortensio Crespi o la bellissima testa del Cristo della Passione attribuita alla mano del Guercino…), il percorso espositivo illustra anche il “ritmo del convento” attraverso una serie di oggetti appartenenti alla cultura materiale dei frati, dalle ceste usate per la questua ai libri per le orazioni, dalle piccole tabacchiere (unico “vizio” concesso ai religiosi) alle caratteristiche troccole (tavole in legno con parti metalliche il cui suono crepitante era un richiamo per i fedeli).
Il Museo dei Cappuccini, tuttavia, presentava già una sezione di arte moderna del XIX e del XX secolo, con autentici capolavori firmati, ad esempio, da Bazzaro o da Morbelli: anche in passato, infatti, i frati milanesi sono stati destinatari di importanti donazioni, in riconoscimento del loro ruolo e del loro impegno accanto soprattutto ai più bisognosi.
A questo punto qualcuno potrà forse chiedersi: ma cosa c’entra un museo con i Cappuccini? E soprattutto: perché esporre opere d’arte che non riguardo direttamente l’ordine francescano e, a ben vedere, che non sono neppure a tema sacro? Obiezioni alle quali i frati stessi rispondono con le parole di fra’ Galdino, nella celebre citazione manzoniana: «Siamo come il mare che riceve da tutte le parti e che torna a distribuire». L’arte, quella che è patrimonio dell’ordine e quella che è donata ai frati, viene così “restituita” attraverso questo museo perché tutti ne possano godere. Gratuitamente: perché l’ingresso è gratuito e sempre lo sarà, rimettendosi alla libera generosità di ciascuno.
Il Museo dei Cappuccini a Milano (via Kramer, 5) è aperto da martedì a venerdì dalle 15 alle 18; sabato dalle 10 alle 18. Per informazioni: tel. 02.77122580, www.museodeicappuccini.it