Sirio 26-29 marzo 2024
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Cinema

Il Festival di Cannes non parla italiano

La giuria presieduta dagli americani fratelli Coen, ha assegnato ben tre premi a film francesi. Peccato per i film italiani del trio (Moretti, Garrone, Sorrentino) che, per qualità e tematiche affrontate, non avevano nulla da invidiare agli altri. Anche se il botteghino, e cioè il pubblico, li sta già premiando negli incassi, con la "palma" del box office

di Paola DALLA TORRE

26 Maggio 2015

Doveva essere l’anno della riscossa italiana a Cannes, con ben tre film in concorso (Sorrentino, Garrone, Moretti), tutti accolti positivamente, ed invece è stato l’anno dell’incoronazione del cinema francese.

La giuria presieduta dagli americani fratelli Coen, ha assegnato infatti ben tre premi ai nostri cugini d’Oltralpe. Il premio per la miglior attrice è andato ad Emmanuelle Bercort (ex aequo con Rooney Mara per “Carol”) per “Mon Roi”, storia d’amore raccontata da un punto di vista femminile. Miglior attore è stato scelto Vicent Lindon per “Le loi du marchè”, che pone l’attenzione sulla crisi economica mondiale e sulle sue ripercussioni nella vita delle persone comuni.

E, infine, la Palma d’oro, il premio più importante è stato consegnato a Jacques Audriard per “Dheepan” in cui si mettono in scena, con lo stile asciutto ma fortemente emozionate tipico del regista, le vicende di un uomo che viene dallo Sri Lanka e che deve fuggire dalla guerra civile. Per farlo si associa con una donna e una bambina. I tre si fingono una famiglia e riescono così a scappare e rifugiarsi nella periferia di Parigi. Anche se non parlano francese né hanno contatti. Trovati due lavori molto semplici (guardiano tuttofare e badante) i due scopriranno la vita da periferia, le bande e le regole criminali che vigono nel posto che abitano. Quando arriverà inevitabile lo scoppio della violenza e degli spari occorrerà prendere una decisione, se rimanere insieme o separarsi. Un film “sociale” sulla realtà contemporanea, fatta di guerre, violenza, immigrazione, globalizzazione.

Se c’è un filo rosso che collega i vari film premiati in questa edizione del Festival va proprio ricercato nella scelta di un cinema di qualità che sappia raccontare la realtà, la storia presente ed anche passata, con uno sguardo realistico e anche metaforico. Vanno visti in questo senso, i premi a “The lobster” del greco Giorgos Lanthimos e a “Son of Saul” dell’esordiente László Nemes: il primo è una parabola allegorica sul futuro dell’umanità, un’anomala pellicola di fantascienza che racconta un futuro dove le persone se non sono sposate entro i 45 anni vengono trasformate nel loro animale preferito; il secondo rievoca il dramma dell’Olocausto attraverso il punto di vista di Saul, internato in un campo di concentramento che vorrebbe dare sepoltura al corpo del figlioletto, un’opera che ricorda il passato per costruire il presente e il futuro.

Anche il premio alla carriera è stato assegnato ad una francese: Agnes Varda, unica regista donna del cinema della Nouvelle Vague, autrice di pellicole intime e realiste come “Cleo dalle 5 alle 7”, opere innovative per stile e punto di vista, che portarono negli anni Sessanta una ventata di novità nel cinema francese e mondiale. I

l Premio alla Miglior regia è andato al cinese Hou Hsiao-Hsien, un habituè del Festival (c’è stato ben sei volte) per “The Assassin”, film di genere “wuxpia” (cioè di lotta), impeccabile dal punto di vista formale e come Miglior sceneggiatura è stata premiata l’opera di Michel Franco Chronic, il racconto di un infermiere che lavora con pazienti malati terminali.

Peccato per i film italiani che, per qualità e tematiche affrontate, non avevano nulla da invidiare agli altri. Anche se il botteghino, e cioè il pubblico, li sta già premiando negli incassi, assegnandogli la “palma” del box office.