Liberare i volti. Portarli in giro per la città. Strapparli a un “dietro le sbarre” di durata variabile sino al “fine pena mai”, portando gli sguardi delle persone carcerate a incrociarsi – non solo in fotografia – con quelli degli uomini liberi. E questo mischiando le carte, inquadrando insieme chi la condanna l’ha subita e chi in qualche modo s’incarica di umanizzarla, cioè i volontari che operano in carcere e che sono – in quanto uomini e soggetti fotografici – del tutto indistinguibili da chi sta pagando il suo debito con la giustizia.
Continua il suo viaggio inteso a rivelare ciò che “normalmente” non si vede, Margherita Lazzati. E questa volta cerca, sempre con l’aiuto della sua Leica, di far conoscere – sottraendola all’indifferenza – l’umanità nascosta nella casa di reclusione di Milano-Opera.
La mostra “Ritratti in carcere”, allestita dalla Galleria L’Affiche, è ospitata dalla Università Bocconi di Milano, via Sarfatti, 25 (da lunedì al venerdì: 8.00-19.00. Sabato: 8.00-17.00). Presenta 30 ritratti fotografici – di persone recluse e volontari – realizzati tra l’estate del 2016 e gli inizi del 2017 (con l’autorizzazione del Ministero della Giustizia e grazie alla lungimiranza dell’allora direttore Giacinto Siciliano) nei locali del Laboratorio di Lettura e Scrittura creativa di Opera, cui la stessa Lazzati da anni collabora.
Inaugurazione giovedì 3 maggio, alle ore 17.30. Saluti introduttivi: Gianmario Verona, Rettore Università Bocconi. Interverranno: Silvio Di Gregorio, Direttore Casa di Reclusione Milano-Opera; Pierfrancesco Majorino, Assessore alle Politiche Sociali, Comune di Milano; Luigi Pagano, Provveditore Regionale Amministrazione Penitenziaria; Michele Polo, Direttore IEFE, Università Bocconi; Giacinto Siciliano, Direttore Casa Circondariale San Vittore.
«Ho frequentato tutti i sabati per oltre cinque anni il laboratorio di scrittura creativa del carcere di massima sicurezza di Opera, cercando in tutti i modi di uscire dalla logica del reportage per entrare nell’idea del ritratto, una dimensione nella quale luce, spazio, sfondo, tempo, relazioni, appartengono a una realtà definita e non modificabile – racconta l’autrice -. Volevo non raccontare, ma fermare un’apparenza fisica, un aspetto, una figura, una sembianza, un atteggiamento, un portamento, senza retorica e senza l’ambizione di andare oltre o cercare di cogliere l’anima. Potrei dire che forse, quando si lavora stretti, anche questa è una forma di rispetto». Margherita Lazzati continua dunque a dar conto di ciò che è nascosto, o perché precluso alla vista, come già accadde nel 2017 con la rassegna “Sguardi”, dedicata agli ospiti della Sacra Famiglia di Cesano Boscone, e nel 2015 con la mostra “Visibili. inVisibili. reportage”, entrambe presentate con grande successo in Ambrosianeum.