In questi ultimi mesi, in vista di Expo, si parla continuamente di come nutrire il pianeta, di cibo, di sapori e di profumi. Tra maggio e ottobre, parteciperemo a una festa del gusto e del palato, dove tutti saremo invitati ad applaudire prodotti raffinati e sostenibili, sentendoci coinvolti nell’avere contribuito in qualche modo alla salvaguardia del nostro così tormentato pianeta…
Più difficile è tuttavia parlare di cibo nelle zone dimenticate del mondo, nelle periferie geografiche, nei posti marginali, considerati insignificanti e privi d’interesse. Come ad Haiti.
Con una trentina di fotografie, Ivo Saglietti, vincitore per ben tre volte del World Press Photo, racconta quando nel 1993 ad Haiti, seguendo un gruppo di mezzi militari americani, giunge a un immenso immondezzaio, a un luogo apocalittico, dove l’Occidente scarica i propri rifiuti. La scena che gli si presenta dinnanzi è sconvolgente. Un migliaio di ragazzi, di donne e di bambini si gettano furiosamente su queste orrende montagne, iniziando una caccia al cibo e a quanto può ancora servire. Un groviglio di corpi fluttua misteriosamente, all’inseguimento affannoso di qualche pregevole spazzatura.
Saglietti, con uno sguardo attento e sofferto allo stesso tempo, riprende i momenti salienti di questa drammatica lotta alla sopravvivenza. Da allora, che cosa è cambiato?