Gϋnter Grass ed Eduardo Hughes Galeano ci hanno lasciato. Sono stati grandi scrittori e insieme alfieri di un impegno politico che ha in comune il riferimento al socialismo. Ma qui iniziano le differenze. Grass, premio Nobel per la letteratura nel 1999, nato a Danzica nel 1927, ha accompagnato alcune battaglie della socialdemocrazia tedesca, soprattutto ai tempi di Willy Brandt, ha fatto fuoco su chi, come la Merkel, ha puntato su una unione prima economica che politica dell’Europa, unendosi al coro dei “no” agli ultimatum contro la Grecia.
Le unificazioni, in realtà, non gli erano mai andate a genio, a cominciare da quella tedesca, verso la quale ha sempre nutrito grandi sospetti. Le sue opere, soprattutto quella che viene considerata il suo capolavoro, “Il tamburo di latta” (1959) rappresentano uno sguardo dolente sul mondo contemporaneo e su quello immediatamente prima, la “modernità” del secolo breve, quella nazista a esempio, che attaccò nei suoi risvolti disumani per poi nascondere, fino all’uscita di un’intervista rilasciata nel 2006, che aveva militato come volontario nelle Waffen SS.
Il dolore dei suoi personaggi sembra, però, non avere confini politici e ideologici: appartiene semmai a una dimensione letteraria e filosofica tutta tedesca, che guarda alla realtà con un pessimismo di fondo. Thomas Mann e Schopenhauer non sono passati invano.
Galeano, nato nel 1940 a Montevideo in una famiglia cosmopolita e cattolica, era legato alle dinamiche storiche di un’America Latina in bilico tra povertà, sogni libertari e longa manus degli eserciti, che ebbero modo di fargli capire tutto il loro scarso apprezzamento costringendolo all’esilio e al nomadismo di chi ha fatto una scelta di campo e la paga fino in fondo.
La sua fedeltà a un certo socialismo (che nei fatti sudamericani aveva dei punti di riferimento obbligati, il più vicino dei quali era Cuba) ne faceva un uomo che non si adagiava su facili compromessi e sulla possibilità di mediazioni con un potere non chiaramente democratico. In questo si possono vedere dei punti di contatto con alcuni rappresentanti della teologia della liberazione e con il destino di Romero. La sua “Memoria del fuoco” (iniziata nel 1982), divisa in tre parti, è il tentativo – secondo molti riuscito – di creare una nuova epica latino-americana a partire dai miti di fondazione, per arrivare ai colpi di Stato.
Pure lui controcorrente, e dalla parte del popolo anche nella passione per lo sport latino-americano per eccellenza, il calcio (ma in questo non era solo), contro lo snobismo di molti intellettuali di sinistra: era tifosissimo del Nacional di Montevideo. Nel suo “Splendori e miserie del gioco del calcio”, del 1987, dimostrò come si potesse parlare di rigori e parate rimanendo in un’ottica di sinistra, da una prospettiva insieme critica ed empatica.
Due scrittori assai diversi: il tedesco teso alla ricerca di un linguaggio espressionistico e ironico, che riuscisse a cogliere le contraddizioni insanabili del mondo: “Si può anche affermare che al giorno d’oggi è impossibile scrivere un romanzo, ma poi, per così dire, scriverlo in barba a se stessi, deporne uno bello grosso e finire col venir considerato l’ultimo romanziere possibile”, afferma Oskar, il geniale ragazzino che sceglie di non crescere, mostrando una lucida, aggressiva visione delle cose del mondo “adulto”.
Galeano aveva uno sguardo più radicato nella storia antica e recente, sapeva quali sono le origini dei problemi e si batteva per cambiare le cose anche quando scriveva che con l’arrivo di Colombo “da oggi tutto appartiene a quei re lontani: il mare di coralli, la sabbia, le rocce verdissimo di muschio, i boschi, i pappagalli e questi uomini dalla pelle d’alloro che non conoscono ancora i vestiti, la colpa e il denaro”.