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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Ricordo

Elie Wiesel, il testimone di pace dell’Olocausto

E' morto un grande testimone del Novecento e delle sue barbarie. Per la follia nazista era uno Stück, un pezzo. Niente più. Vinta la sciagurata ideologia dello sterminio divenne invece memoria vivente ed infuocata con tanti racconti, articoli, interventi, Premio Nobel per la Pace nel 1986 e ancora di più: annunciatore di Shalom.

di Cristiana DOBNER

4 Luglio 2016
Author and Nobel Laureate Elie Wiesel surrounded by books.

La notte si è stemperata e si è aperta sulla Luce per A-7713, deportato dal natio villaggio di Sighet nei Carpazi a Auschwitz dove giunse il 6 maggio 1944: “Non dimenticherò mai quelle fiamme che consumarono la mia Fede per sempre”. Seguirono Buna e Buchenwald.

Per la follia nazista l’ebreo quindicenne, Elie Wiesel, era uno Stück, un pezzo. Niente più. Vinta la sciagurata ideologia dello sterminio divenne invece memoria vivente ed infuocata con tanti racconti, articoli, interventi, Premio Nobel per la Pace nel 1986 e ancora di più: annunciatore di Shalom.

L’annuncio della conclusione del suo peregrinare dalla storia non poteva che provenire dallo Yad waShem di Gerusalemme: luogo della memoria della Shoah, del suo scempio orribile, “chi non ha vissuto la morte laggiù non capirà mai ciò che noi, i sopravvissuti, vi abbiamo patito dal mattino alla sera, sotto un cielo muto”, ma pure della rinascita incontenibile del popolo d’Israele.

Quanto si incise a fuoco sulla pelle e sulla vita dell’adolescente si tramutò in una propulsione inesausta:  “In verità, per l’ebreo che io sono, Auschwitz rappresenta una tragedia umana ma anche – e soprattutto – uno scandalo teologico. Per me è un fatto innegabile: è impossibile accettare Auschwitz con Dio né senza Dio. Ma allora come comprendere il Suo silenzio?”.

Dio quindi divenne il suo interlocutore, Colui che non si staccò mai più dal suo fianco, dal suo io, dal suo pensiero e da tutta la sua vita.

Con la sua scrittura dall’emozione contenuta ma dalla passione ardente nello stile dinamico, essenziale scrisse “E il mondo rimase in silenzio”, in yiddish, poi in francese con la prefazione di F. Mauriac e con il titolo di “La notte”. Tutte le porte editoriali gli furono sbattute in faccia. Erano i tempi di quel clima che sarà ripreso da “Il labirinto del silenzio”.  Era l’angoscia che veniva rimossa?

Solo nel 1958 un piccolo editore coraggioso, Editions de Minuit, si lanciò nell’impresa e fece un buco nell’acqua: quasi zero di vendite. Poi fu un crescendo, degno del capolavoro che ormai è conosciutissimo, 400.000 copie all’anno alla fine degli anni ’90 per superare la vetta dei 10 milioni. Daniel Vogelmann ne intuì bellezza e portata per primo in Italia e lo stampò con la sua editrice Giuntina nel 1980.

Lo scandalo religioso, il dolore umano, le continue vessazioni e violenze sotto tutti i paralleli e i meridiani del nostro pianeta furono per Elie Wiesel ragione di vita, secondo l’imperativo ebraico che ruggiva in lui: “Sceglierai la vita”, “La Torah insegna a scegliere la vita. Credo nell’umanità contro l’umanità. Credo in Dio contro Dio”.

Coraggioso e pugnace fino a rammentare al presidente Reagan in visita ufficiale che il suo posto non era al cimitero tedesco delle SS, quanto piuttosto in quello delle loro vittime.

Una grave operazione, versata nel suo libro “A cuore aperto”, lo colse di sorpresa e in uno stato diverso: “Questa volta ero più solo. Allora ero con gli altri”. La storia aveva ancora bisogno della sua testimonianza: “Tante cose ancora da portare a termine… tante sfide da affrontare. Tante preghiere da comporre. Tante parole da trovare, tanti silenzi da far cantare”.

Superata l’emergenza fisica e psicologica, il suo contenzioso con Dio continua: “Io ammetto di essermi messo contro il Signore, ma non l’ho mai rinnegato. Rivendico il grido di Geremia nelle ‘Lamentazioni’ quando evoca la distruzione del primo Tempio di Gerusalemme: ‘Tu hai ucciso i tuoi figli senza pietà! Tu hai assassinato il tuo popolo senza compassione!’”. Tuttavia, E. Wiesel aggiunge il suo grido: “Cosa? Dio un assassino? Certo, tra noi sopravvissuti, alcuni hanno protestato contro il silenzio divino! Ma nessuno ha avuto l’audacia di chiamare Dio ‘assassino’!”.

Scrive ancora nella sua narrazione che Elijah, il nipotino prediletto da Elie, gli dice: “Nonno, tu sai che io ti amo; e io so quanto tu stai soffrendo. Dimmi: se io ti amo di più, tu soffrirai meno?”. La reazione, sofferta e ponderata dello scrittore, rivela mente e spirito: “In quel momento, ne sono convinto, Dio contempla la Sua creazione sorridendo”.

Ora, con Dio e in Dio, anche Elie Wiesel sorride su di noi, la sua memoria sia a benedizione.

Il suo ultimo romanzo edito da Terra Santa

Il Mendicante di Gerusalemme
Elie Wiesel
Ed. Terra Santa
208 pagine, 15,90 euro
 

Giugno 1967, Muro Occidentale di Gerusalemme. All’indomani della Guerra dei Sei giorni, Wiesel vede sfilare migliaia di uomini e donne, «in uno strano raccoglimento». E confusi tra quei volti prendono vita i personaggi di questo romanzo, composto di getto in quell’anno, come un impetuoso flusso di coscienza nel quale si mescolano la realtà e la finzione, la memoria e il desiderio.
«I pazzi muti e i mendicanti sognatori, i maestri e i loro discepoli, i cantori e i loro alleati, i giusti e i loro nemici, gli ubriachi e i cantastorie, i bambini morti e immortali, sì, tutti i personaggi di tutti i miei libri mi avevano seguito per fare atto di presenza e testimoniare al mio posto, attraverso di me!».
In un ritmo incalzante, si intrecciano le memorie della diaspora, la tragedia della Shoah, i combattimenti per Gerusalemme. Sullo sfondo la grande tradizione spirituale ebraica e una Gerusalemme crepuscolare, il cui tramonto «brusco, selvaggio, stringe il cuore per poi calmarlo».