C’è un autoritratto divertito, uno sguardo ironico alla Giamburrasca, i capelli in piedi come un folletto. Poi appaiono volti senza lineamenti, ovali vuoti, privi di espressione e di identità. Chi li ha dipinti non ha ancora vent’anni, si è da poco iscritto all’Accademia di Brera e vive, forse senza rendersene pienamente conto, il clima di una guerra che sta sconvolgendo il mondo.
Un giovanissimo pittore che, con spirito goliardico, quasi infantile, si firma «Lorenzino», come ad “attutire”, con quel diminutivo, un’appartenenza familiare agiata e fortunata, che in qualche modo già gli pesa. Il suo nome è Lorenzo Milani, il futuro priore di Barbiana. Che all’epoca, però, non è neppure seminarista…
Che don Milani abbia tentato la strada delle belle arti in gioventù era cosa nota, anche se circoscritta probabilmente a chi lo aveva conosciuto più intimamente e a chi ne aveva ricostruito la biografia con accuratezza. Ma fino a poco tempo fa non molti potevano dire di avere visto le sue opere, i quadri che Lorenzo dipinse dall’adolescenza fino al momento della sua conversione, con la scelta, imprevista e scioccante per la sua stessa famiglia, di farsi prete. Tele che si credevano scomparse, se non distrutte, e che invece sono inaspettatamente riemerse in questi ultimi anni, quasi a voler celebrare, in modo nuovo, il centenario della nascita dell’autore delle Lettere ad una professoressa.
Paesaggi, vedute, ritratti, studi di anatomia. Dipinti finiti e incorniciati, a volte invece solo abbozzati. Ritrovati in collezioni private ma anche in cantine e soffitte, là dove erano stati abbandonati decine di anni fa. Lavori che nel 2014 sono stati raccolti anche in una mostra sorprendente, allestita al Museo Diocesano di Milano: quella che racconta, appunto, di un inedito don Lorenzo Milani pittore.
Una storia che inizia con un ragazzo intelligente e curioso, ma scolasticamente non molto brillante, rampollo malaticcio di una illustre famiglia toscana aperta a ogni genere di cultura, tranne forse quella di impronta religiosa. Quasi come una sfida, una volta diplomato Lorenzo chiede e ottiene di iscriversi all’accademia braidense («una bambinata», liquiderà la cosa il padre Albano), dopo aver appreso i rudimenti della pittura da un artista tedesco stabilitosi a Firenze, Hans-Joachim Staude, formatosi alla scuola espressionista del Die Brücke. Staude non ha troppa fiducia nel talento acerbo di questo giovanotto, e probabilmente non si sbaglia. Ma riconosce in quelle sue prime, semplici prove «una forza tutta sua», il tentativo di andare «all’origine delle cose».
È come un’ansia di esprimersi. Il desiderio di trovare la propria strada, lontano da schemi precostituiti o da facili soluzioni. Ma non è solo un giovanile, diffuso moto di ribellione (acuito in molti anche dal senso di oppressione del regime fascista), quello che anima le scelte di Milani diciottenne. Che ancora non mostra di essere affascinato dal sacro, se non fosse per quelle visite sempre più frequenti al Duomo “impacchettato” per la guerra in corso (siamo ormai nel 1942), e una nuova curiosità per i riti liturgici e la simbologia religiosa.
Una ricerca che sta tutta in pochi mesi, laceranti, definitivi. Manifestata, consapevolmente o meno, in quelle opere di cui si accennava all’inizio, dall’autoritratto scanzonato fino alle figure senza volto, esposte proprio nella rassegna milanese. Insieme alla fede ritrovata, nella scoperta di un vecchio messale («Più interessante di Pirandello», dice agli amici), come nella presa di coscienza della miseria («Non si mangia il pane dei ricchi in un quartiere povero», viene apostrofato mentre, con tavolozza e cavalletto, è intento a ritrarre uno scorcio della vecchia Firenze…).
Poi gli studi in seminario, l’incomprensione dei familiari, l’ordinazione sacerdotale, i primi contrasti con la gerarchia ecclesiastica, il “confino” a Barbiana, tra i monti aspri del Mugello. Dove però don Lorenzo Milani darà vita a una straordinaria esperienza religiosa e pedagogica, spirituale ed educativa.
E dove, pur avendo abbracciato ormai l’unica vocazione al sacerdozio, continuerà a diffondere fra i bambini e i ragazzi della “sua” scuola la passione per i disegni e per i colori, verificando concretamente, in tante occasioni, come un’immagine, chiara ed evocativa, possa essere più eloquente di tante parole. Bambini e ragazzi posti sotto la protezione, nella chiesa di Barbiana, del Santo Scolaro: il suo ultimo lavoro artistico (lui che morirà ad appena 44 anni), come un testamento spirituale.