Fa un certo effetto sapere che una chiesa, magari costruita due o tre secoli fa, è divenuta sala per conferenze, un’altra teatro, una terza museo, una quarta galleria d’arte, una quinta biblioteca.
Il fenomeno non è nuovo e, per fortuna, in Italia non è massiccio. Ma va, comunque indagato. Riguarda per lo più luoghi di culto annessi a istituti religiosi o vecchie abbazie in disuso, o cappelle rurali vendute e tramutate in abitazioni civili se non, in qualche caso, anche in luoghi di lavoro. Semmai più marcate e numerose sono le trasformazioni di chiese in stati del nord Europa, quali Olanda, Gran Bretagna, Danimarca, Germania.
In quei Paesi, anche per la presenza di diverse confessioni e il calo piuttosto marcato della frequenza religiosa, numerose chiese luterane, anglicane ma anche cattoliche sono state alienate e studi di architettura e design le hanno ridisegnate come “location” di alto livello per alberghi, ristoranti, pub, addirittura night club. Basta cercare nella rete internet sotto la voce chiese trasformate in appartamenti (in varie lingue), per trovare numerosi siti che illustrano con dovizia di immagini i cambiamenti intervenuti.
Lo sconcerto dei fedeli davanti a questi cambiamenti, in certi casi, è notevole: oltre al significato simbolico della chiesa, come “casa di Dio” dove si sono celebrate per secoli funzioni religiose, il venir meno della presenza di un punto di richiamo comunitario costituisce sempre una sorta di “vulnus”, avvertito acutamente dalla popolazione, anche in un’epoca come la nostra di secolarizzazione.
Per capire il fenomeno e coglierne la portata a livello italiano, abbiamo raccolto l’opinione di monsignor Stefano Russo, direttore dell’ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici della Cei.
Edifici “preziosi” agli occhi dei fedeli.
“Il fenomeno è presente anche in Italia seppur in modo certamente meno rilevante che in altri Paesi d’Europa. Di positivo c’è il costante monitoraggio della situazione da parte della grande maggioranza delle diocesi – spiega mons. Russo -, e ciò si deve anche al forte carattere identitario degli edifici di culto e al legame, secolare, che si viene a generare con le persone che li vivono. Dobbiamo tenere presente che, all’interno delle 224 diocesi che coprono il territorio con oltre 25.500 parrocchie, in Italia si contano oltre 65.000 chiese di proprietà ecclesiastica. È un numero decisamente rilevante che testimonia il forte radicamento di fede ad ogni latitudine. Il problema è che molte di queste chiese si trovano in zone ormai scarsamente abitate, in centri delle Alpi o degli Appennini dove magari troviamo parrocchie con 500 o 1000 abitanti che hanno dieci o venti chiese e cappelle. È chiaro che il loro uso negli ultimi decenni è diminuito, ma per lo più non sono state abbandonate”.
“Anzi – sottolinea il direttore – diverse di loro sono state restaurate grazie all’affezione dei parrocchiani, magari da tempo trasferiti in altri centri, ma che hanno voluto contribuire con le proprie offerte, nel ricordo e nell’affetto verso la comunità dove sono nati e cresciuti e dove hanno ricevuto i primi sacramenti”.
“Il senso di una chiesa – spiega ancora – supera la comprensione che di essa possiamo avere quale monumento e il culto che vi si celebra costituisce il contesto vitale che la giustifica e rende preziosa agli occhi dei fedeli. Da qui il carattere identitario che fa delle chiese, al di là del fascino storico-artistico, non tanto dei ‘musei’ del sacro, ma qualcosa di più significativo e profondo, che attiene alle corde spirituali della popolazione”.
In rete un poderoso lavoro di archiviazione.
Per cogliere la vastità e preziosità di questo patrimonio artistico-religioso basta visitare il sito internet dell’Ufficio nazionale diretto da mons. Russo ( www.chiesacattolica.it/beniculturali/ ). Al suo interno c’è, tra le altre, la sezione dal titolo “Le chiese delle diocesi italiane”, dove è già possibile trovare il censimento di 12.000 delle 65.000 chiese del nostro Paese.
Dire “censimento” significa che di ciascuna di quelle catalogate si riportano schede molto esaustive sia sotto l’aspetto storico-liturgico, sia artistico. “È un archivio in divenire, nel quale – dice mons. Russo – nel volgere di pochi anni si dovrebbe arrivare al completamento del quadro complessivo, con una catalogazione e un inventario dettagliato di tutti i beni contenuti”. Nello stesso sito dei “beni culturali” c’è poi la sezione “BeWeb” (www.chiesacattolica.it/beweb/UI/) che prevede un archivio altrettanto ricco: si tratta infatti di 3,5 milioni di oggetti liturgici, opere d’arte, statue, biblioteche, documenti d’archivio, incunaboli, e ogni altra componente dell’apparato cultuale stratificato in secoli di amore popolare verso la propria chiesa o chiesetta. I singoli “oggetti” possono essere ricercati per tipo, per categoria, per autore (se si tratta di libri, codici, opere d’arte, ecc.) e, dove già schedati, se ne possono trarre preziose informazioni utili sia a livello culturale, sia sotto il profilo della storia religiosa e spirituale di zone e territori. La Cei, afferma mons. Russo, sta allestendo anche una “scrivania virtuale” che viene implementata man mano dai diversi uffici diocesani, “con una minuziosa opera di catalogazione di tutto quanto, chiesa dopo chiesa e parrocchia dopo parrocchia, costituisce l’enorme lascito di fede e devozione del popolo cattolico del nostro Paese”.