Nelle prime ore di domenica 13 novembre è morto l’architetto Luigi Caccia Dominioni. Aveva 102 anni, era nato a Milano, nella casa avita in piazza Sant’Ambrogio, il 7 dicembre 1913. I funerali saranno celebrati nella Basilica di Sant’Ambrogio martedì 15 novembre alle 11.
Iniziò la sua attività nel campo della progettazione di arredi con gli architetti Livio e Pier Giacomo Castiglioni. La prima opera nota è una serie di posate, poi maniglie, telefoni e radio. Assieme firmarono grandi allestimenti di mostre. Con Luigi Figini è da ricordare, in particolare, quella dedicata al Duomo di Milano nel 1951 per la IX Triennale.
A dopo la guerra si data la sua prima architettura: la casa di famiglia in piazza Sant’Ambrogio. Lo stile assolutamente autonomo lo portò subito all’attenzione della critica architettonica. Sobrio, attento alla tradizione lombarda e privo di ogni manierismo o rigidità compositiva. Ogni edificio era calato in un rapporto organico con l’immediato intorno. Era discreto e attento, capace di sapide battute umoristiche, pronto ad ascoltare sempre chi a lui si rivolgeva, anche fosse un giovane studente alle prime armi.
Sedette per anni in Commissione diocesana d’Arte aacra, anche se era più incline a dar pareri dal suo studio che dal tavolo delle assemblee. Nell’ambito delle costruzioni per le comunità ecclesiali, a lui si devono il convento francescano di via Farini, il monastero di Viboldone, la chiesa di san Biagio a Monza, la chiesa di san Giorgio in Seguro, il sommamente discreto quanto saggio e coraggioso edificio alle spalle della chiesa di San Fedele in Milano, il prodigioso pavimento della Basilica di Sant’Ambrogio, capace di rendere l’Altare di Volvinio vero centro dell’assemblea celebrante. Ancora l’allestimento della Biblioteca Ambrosiana – poi modificato negli anni Novanta del secolo scorso -, un edificio per l’assistenza a situazioni di disagio in via Calatafimi, l’edificio a fianco di San Vito al Pasquirolo. Fuori Diocesi progettò il monastero femminile di Poschiavo, una chiesa a Omegna e una nella Pineta di Arenzano, adeguamenti liturgici a Lomazzo e Morbegno.
La sua architettura era per accogliere una vita e per facilitarne lo scorrimento e la crescita. Rigoroso nelle linee quanto fluido nei passaggi, mai banali o scontati, tra un ambiente e l’altro. Fedele e costante la collaborazione con lo scultore Francesco Somaini, che disegnò moltissimi pavimenti musivi per gli edifici di Caccia.
In una celebre intervista radiofonica, il poeta Giovanni Raboni definì Caccia come l’emblema della milanesità e ne volle le architetture a illustrare le pagine del quotidiano che riportavano la trascrizione dell’intervista.