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L’Europa e la sua espansione religiosa nel continente nordamericano: un convegno a Gazzada

"Rispetto alle sue matrici europee", l'esperienza religiosa americana ha "una peculiarità, su cui ha particolarmente insistito Benedetto XVI nel recente viaggio negli Stati Uniti, e il cui dato caratterizzante appare essere la ricerca della libertà di coscienza". Così Cesare Alzati, dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, aprendo a Villa Cagnola - Gazzada (Varese) la XXX Settimana europea promossa dalla Fondazione Ambrosiana Paolo VI e dall'Università Cattolica.

11 Settembre 2008

11/09/2008

Oggetto di analisi le missioni dei gesuiti, la diffusione del cattolicesimo e del protestantesimo, ma anche l’inculturazione dell’ortodossia, la presenza ebraica e l’islamismo degli afro-americani.

La "religione civile".
Per Massimo Rubboli (Università di Genova), "negli Stati Uniti, a fianco della religiosità che si esprime nelle diverse chiese", esiste una cosiddetta "religione civile" che "non riflette una coesione culturale oggettiva", ma è risorsa "utile a collegare la moralità con la politica e a creare un’identità nazionale ". Secondo lo storico, in questa "religione civile" elementi di diversa provenienza, tra cui anche "archetipi del messianismo ebraico ", si mescolarono. In seguito "la religione civile ha gradualmente superato la fase ebraico-cristiana per includere altre fedi e continua ancora oggi a svolgere un ruolo d’integrazione culturale e sociale per le diverse tradizioni religiose".

Da vittime ad attori.
Pur se gli aborigeni americani sono "passati dal ruolo di vittime sulla strada dell’espansione europea a quello di attori", spesso decisivi, "di una dinamica di incontri" il cui "teatro di azione era il Nuovo Mondo", tra gli studiosi di espansione coloniale "il modello prevalente" rimane quello tradizionale . A precisarlo Luca Codignola (Università di Genova). Per lo storico, che ha ripercorso la vicenda coloniale europea nel continente nordamericano fino al 1701, "le storie dell’espansione britannica, francese, spagnola e portoghese restano ancora per lo più mondi a parte ".

"Su 7 vescovi di Québec dal 1658 al 1784 solo 4 hanno veramente operato" ha osservato Bernard Plongeron, dell’Institut Catholique de Paris, secondo il quale mons. de Laval – Montmorency (1658-1688) ha fatto "sopravvivere la Chiesa canadese grazie a un forte centralismo". All’inizio del Settecento, è il vescovo J.B. de Saint-Vallier a "valorizzare la parrocchia intesa come famiglia spirituale". "Quattro – aggiunge – i peccati del parrocchiano canadese: la smania di apparire, la bestemmia, l’ubriachezza, la lussuria".

Mitria e scettro.
Per Peter Doll , anglicano della diocesi di Oxford, "al fine di comprendere la vita e il ministero della Chiesa d’Inghilterra nelle colonie del Nord America nel XVIII secolo, è fondamentale capire la relazione che intercorre tra Chiesa e Stato", considerati "da un punto di vista sia costituzionale sia teologico, due aspetti differenti della stessa realtà", e se "nel XVII secolo la politica religiosa coloniale fu caratterizzata da una benigna indifferenza verso il dissenso protestante ", il periodo immediatamente precedente e successivo alla guerra d’indipendenza del 1776, "fu segnato dallo sviluppo di una precisa politica religiosa imperiale".

Nella "Bassa California" e in Arizona, "l’insediamento permanente", venne realizzato dalla Compagnia di Gesù" ha affermato David Piñera Ramírez (Instituto de Investigaciones Históricas, Universidad Autónoma de Baja California, México). Nella seconda metà del Seicento i gesuiti "con un piccolo gruppo di dieci uomini riuscirono a stabilire la prima di una rete di missioni", ma furono espulsi nel 1767. Ad essi successero i francescani e i domenicani, e alla "colonizzazione missionaria" si affiancò "la colonizzazione civile" che si propose di "incorporare gli indigeni nello stile di vita occidentale" causando "un loro netto declino demografico". Nonostante ciò, "l’immagine dell’epoca missionaria che si conserva tutt’ora in California e in Arizona", èpercepita "in modo positivo".

L’inculturazione dell’ortodossia.
Nei possedimenti oltre lo Stretto di Bering "l’attività missionaria russa" ebbe inizio "sulle isole Fox (Aleutine orientali, in cui nel 1796 si potevano già contare 2472 battesimi)" e "nell’arcipelago Alexander", e "ben presto prese piede anche in Alaska" ha reso noto Ernst Christoph Suttner (Università di Vienna), soffermandosi sulla figura di Innokentij Venjaminov che, inviato nel 1823 nelle Aleutine, "preparò traduzioni nella lingua locale del catechismo e di vari libri neotestamentari", si dedicò con grande energia alla missione e fu proclamato santo nel 1977. A mettere in discussione "l’unità dell’ortodossia negli Stati Uniti" fu l’affluire da molti paesi europei, in seguito agli eventi politici del ventesimo secolo, di cristiani ortodossi che volevano restare legati alla loro Chiesa originaria". Nel 1970 "la Chiesa ortodossa russa riconobbe l’autocefalia alla cosiddetta Chiesa ortodossa in America".