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«Eloì, Eloì», la cognizione del dolore nel mondo contemporaneo

Il romanzo d'esordio di Alen Custovic, vincitore del Premio Falck-Ambrosianeum 2007, è la storia di due destini che si incrociano, quello di Emir, giovane musulmano cresciuto nel comunismo bosniaco e trasformato in feroce guerrigliero dagli eventi della guerra, e quello di Armando, prete cattolico ormai anziano segnato dalle contraddizioni della vocazione e della vita. Nel titolo, le ultime parole di Gesù sulla Croce.

1 Luglio 2008

01/07/2008

di Silvio MENGOTTO

Con ragione Franz Kafka dice che «un libro dev’essere l’ascia che spezza il mare ghiacciato che è dentro di noi». Il libro Eloì, Eloì èun rompighiaccio inaspettato.

Alen Custovic è un giovanissimo scrittore, nato nella città bosniaca di Mostar nel 1981, vincitore nel 2007 del Premio letterario Alberto Falck patrocinato dalla Fondazione Ambrosianeum con il suo primo romanzo Eloì, Eloì. L’infanzia dell’autore è trascorsa tra le atrocità della guerra interetnica in Bosnia Erzegovina. Il romanzo trasuda la memoria di quel passato in 48 capitoli che sono piccolo capolavori di intreccio letterario e storico. Dopo lo scoppio della guerra l’autore adolescente si trasferisce con la madre in Italia, soggiornando in Sardegna, Matera e Roma dove si laurea. Oggi vive a Milano come giornalista.

Mons. Gianfranco Ravasi dice che «le vicende della guerra balcanica narrate da Custovic sono la rappresentazione di un orizzonte di estrema attualità, in cui si è costretti a confrontarsi con un tema lacerante per tutti, credenti e non credenti».

Le vicende narrano la polverizzazione della ex Juogoslavia, in particolare la storia di Emir musulmano bosniaco e Armando ex prete milanese. Emir, professore di storia e geografia, dopo l’uccisione della moglie Dragana e del piccolo Dajan, una serba innocente uccisa da serbi, diventa una fiera inavvicinabile assetata da rancore e vendetta. In uno scontro all’arma bianca l’amico Becir morendo salva la vita di Emir. Prima di morire Becir dice all’amico: «Tu devi vivere, c’è sempre la possibilità di cambiare le cose…ma non devi avere paura di farlo, fratello! E… è il mio ultimo desiderio». Dopo il conflitto Emir emigra in Italia. Un viaggio che assomiglia più alla fuga dal passato e da se stesso. Un grido disperato nella sofferenza della propria esistenza che chiede senso, il perché dell’abbandono privo di speranza.

C’è una doppia attualità del romanzo, ciò che è accaduto in Bosnia Erzegovina, sotto paralleli geografici e culturali diversi, potrebbe ripetersi anche in Iraq. In Italia Emir incontra Armando che, disabile per un brutto incidente automobilistico, vive in carrozzina. Per amore di Elsa Armando lascia il sacerdozio, una scelta che sarà causa di ripetuti sensi di colpa. Nonostante l’handicap Armando «reagisce alle sabbie mobili della depressione». Emir e Armando, due storie lontane e parallele che si incrociano nel tempo. In comune hanno la dolorosa perdita degli affetti famigliari. Sarà Armando ad invitare Emir a ritornare nella sua terra. Un convertirsi come andare oltre il passato che è passato.

Nella lettera che Armando scrive per Emir così confida all’amico: «Poi sei arrivato tu, Emir, amico mio! Sei capitato per sollevare questo vecchio capo dalle miserie del passato, dalle miserie umane. Non lo hai fatto per pietà, e neanche per farmi un favore. Pr questo ti sono grato. Tu semplicemente fuggivi, reazione tra le più istintive, e anch’io a modo mio fuggivo. Ci siamo così incontrati lungo il cammino e la fuga insieme è diventata meno pesante. Più sopportabile, umana. Spalla a spalla…Quello che sento, è che mi sono finalmente riconciliato con me stesso».

Cambiare è come rinascere e ogni nascita è una morte del passato. Paradossalmente Emir e Armando sono due angeli misteriosamente legati dal desiderio di pace, dare un senso alla propria vita che ha mescolato il mazzo delle carte, ma sono le persone, Emir e Armando, che giocano la partita ricostruendo il ponte – icona del ponte di Mostar – della riconciliazione: «Quando gli angeli si accorsero che gli sventurati uomini non potevano superare i burroni e gli abissi per svolgere le loro attività, e si tormentavano, si guardavano e si chiamavano invano vicendevolmente da una sponda all’altra, al di sopra di quei punti spiegarono le loro ali e la gente cominciò a passare su di esse ».

Alen Custovic
Eloì, Eloì
Piccola Biblioteca Oscar Mondadori
Premio Falck-Ambrosianeum 2007
(pp. 307, Euro 9)