Il Leone d’oro della settantunesima edizione del Festival di Venezia è andato al film svedese “A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence” (Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza) di Roy Andersson, trenta piccole stazioni di un viaggio fatto di incontri e situazioni inaspettate che offrono un punto di vista originale sulla società di oggi. Un film minimalista, che riflette sul senso dell’esistenza, a tratti surreale, a tratti neorealista. Infatti dal palco il regista svedese ha citato Vittorio De Sica e il suo “Ladri di biciclette” che lo ha profondamente ispirato. “Non sarei un regista se non avessi visto quel film” ha detto l’autore. E certamente l’influsso del neorealismo è chiaro anche nella pellicola premiata con il Leone d’argento per la Regia: “Le notti bianche del postino”, la storia di un portalettere che fa la spola tra un villaggio russo abbandonato e il resto del mondo, collegati da un lago, in crisi perché all’epoca di Internet nessuno scrive più lettere e il suo lavoro non ha quasi più senso di esistere. Diretto dal regista russo Andrei Konchalovsky, il film si muove fra realismo e poesia, una fiaba piena di umanità e attenzione ai valori di solidarietà e comunione fra le persone.
Il Gran Premio della Giuria è andato, invece, a un documentario, durissimo e potente, “The Look of Silence” del regista americano Joshua Oppenheimer sull’eccidio in Indonesia, le purghe anticomuniste del 1965, già raccontate nel suo altro film “The act of killing”, candidato all’Oscar. Altro riconoscimento che indica una scelta precisa da parte della Giuria: quella di premiare pellicole che sanno riflettere sulla contemporaneità, sulla realtà che ci circonda, andando a scovare il vero significato dell’esistenza, senza dimenticare il passato.
Nonostante il Giacomo Leopardi raccontato da Mario Martone e le “anime nere” svelate da Munzi non abbiano ricevuto premi, c’è comunque un po’ di Italia nella premiazione perché la Coppa Volpi alla migliore interpretazione femminile è andata alla nostra Alba Rohrwacher per “Hungry Hearts” di Saverio Costanzo, in cui recita nel ruolo di una madre che vuole proteggere a tutti i costi il suo bambino, appena nato, dal mondo “impuro” che lo circonda. Un film di amori ed ossessioni, che racconta un’umanità fragile e spaesata, che vorrebbe fare del bene e finisce, in realtà, a fare del male. Film che ha ottenuto anche la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile all’americano Adam Driver. Doppio riconoscimento, dunque, che fa apprezzare il lavoro di Costanzo con i suoi attori.
Tra i Premi consegnati nei giorni precedenti la premiazione finale, bisogna ricordare il Premio Bresson, assegnato ogni anno dall’Ente dello Spettacolo e dalla Rivista del cinematografo, che quest’anno è andato a Carlo Verdone. Nella motivazione, Verdone è definito “uno dei volti più amati e apprezzati del cinema italiano” ed un “significativo testimone della ricerca spirituale che anima ognuno di noi”. “I film e le commedie di Verdone – ha detto il presidente dell’Ente dello Spettacolo, Don Ivan Maffeis – hanno questa capacità di giudizio, a volte anche amaro, a volte graffiante, ma mai volgare, mai cattivo”. A Verdone, che ha ringraziato il padre, famoso storico cinematografico cattolico, è stata riconosciuta l’attenzione particolare data a famiglie che si aggregano e si disgregano e a personaggi che vivono situazioni, anche drammatiche, ma sempre con ironia, della crisi italiana. Ancora un Premio che segue il filo rosso dell’attenzione alla realtà, dell’uso del cinema come strumento capace di indagare a fondo la nostra società e svelarne la verità e, a volte, il mistero.