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Riscoperte

1914, la Cina perduta di padre Leone Nani

Cent'anni fa il missionario tornava in Italia con centinaia di foto da lui stesse scattate, facendo conoscere in Europa il lontano Oriente. Un patrimonio straordinario, custodito dal Pime, da riscoprire.

di Luca FRIGERIO

4 Agosto 2014

Il crocifisso in una mano, la macchina fotografica nell’altra. Doveva essere un bel tipo, padre Leone Nani. Uno che, agli inizi del Novecento, il Vangelo aveva deciso di andare ad annunciarlo dall’altro capo del mondo, nella lontanissima Cina. Uno che non badava a rischi e fatiche, pur di conoscere, pur di capire. Uno che alla curiosità per civiltà e culture diversissime sapeva unire il rispetto e l’ammirazione sincera. Un vero missionario, insomma.

Nella regione dello Shaanxi padre Nani arrivò nel 1903, poco più che ventenne, fresco di ordinazione. Un’avventura. Una straordinaria avventura. Proprio quello che Leone aveva sempre cercato. Un bergamasco, nato ad Albino, dallo spirito irrequieto, dalla fede grande, dall’entusiasmo incontenibile. E contagioso soprattutto. I suoi superiori, al Pime, l’avevano capito subito. Per questo gli avevano affidato una missione tanto difficile. Per questo l’avevano inviato in uno degli angoli più remoti della Cina, dove bisognava partire pressoché dal nulla, in fatto di apostolato.

Portò poche cose con sé, soltanto lo stretto indispensabile. Nani sapeva che avrebbe dovuto fare decine e decine di chilometri a piedi o a cavallo, per zone impervie e difficili, eppure splendide, che gli ricordavano tanto le Alpi e le Prealpi che amava. Ma una cosa non mancò mai nel suo scarno bagaglio: una macchina fotografica, per quanto ingombrante e delicata fosse. Precursore nella missione, pioniere nella fotografia.

In Cina padre Leone Nani rimase per oltre un decennio, fino al 1914. Di quegli anni ci ha lasciato un reportage fotografico straordinario, assolutamente senza pari. Decine, centinaia di lastre a raccontare, in ogni suo aspetto, un mondo lontano e affascinante, in rapida evoluzione, oggi completamente scomparso. Una testimonianza, quella di Nani, raccolta “sul campo”, giorno dopo giorno, fatta di condivisione e di comprensione. E per questo unica, eccezionale.

A lungo dimenticate, pressoché ignorate, le immagini cinesi di padre Nani sono da poco riemerse dagli archivi del Pime di Milano, ormai a cento anni dalla prima volta che furono viste, con sorpresa e curiosità, in Italia e in Occidente. Raccolti in un bel volume edito da Skira (Cina perduta nelle fotografie di Leone Nani, 224 pagine, 49 euro, ma in vendita a prezzo scontato sul sito www.skira.net ), presentati in una mostra che ha già fatto tappa in diverse città italiane e straniere, offerti anche alle parrocchie e ai centri culturali in un’agile quanto suggestiva rassegna (che può essere richiesta al Pime: tel. 02.43822326, www.pimemilano.com), gli scatti di questo grande missionario affascinano e sorprendono ancor oggi per la loro freschezza, mentre la loro riscoperta rappresenta un piccolo, grande evento, che restituisce finalmente alla storia della fotografia – ma anche a quella delle grandi esplorazioni dell’inizio del XX secolo – uno dei suoi veri protagonisti.

Lo sguardo di padre Leone, infatti, pare instancabile. Si posa sugli alti dignitari dinastici, sui funzionari governativi, sulle autorità religiose. Ma soprattutto il suo obiettivo fotografico coglie gli aspetti più diversi del vivere quotidiano, la fatica dei contadini e dei boscaioli, il lavoro delle donne, la tenerezza di sposi e famiglie. Da vero fotoreporter, Nani cerca di fornire un quadro completo e preciso della realtà che sta osservando e vivendo. Spesso con passione, sempre con partecipazione.

I suoi autoritratti, in questo senso sono quanto mai significativi. Con il passare del tempo, infatti, il giovane missionario sembra “trasformarsi”, assumendo con fierezza e dignità alcune caratteristiche dei costumi locali, indossando i tipici abiti cinesi, portando il codino alla mancese. Segno di un coinvolgimento profondo, di un’adesione totale alla sua missione. E, soprattutto, di un affetto grande per gli uomini e le donne che gli sono stati affidati, ai quali porta Cristo facendosi uno di loro.