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Il dialogo tra cristianesimo e religioni orientali

4950 - per_appuntamenti Redazione Diocesi

23 Novembre 2009

La religiosità orientale è un irriducibile alterità per chi è cresciuto all’interno di una tradizione monoteistica fondata sul concetto di tempo storico come significativa concatenazione di eventi.

Quello orientale, infatti, è un tempo extra-storico, più vicino ai ritmi della natura e alla quiete del mondo divino.
Il pensiero orientale è unificante, globale, che spinge all’unità, e ritiene illusori i conflitti, i dualismi, le differenze, le contraddizioni.

In un mondo occidentale sempre più segnato dalle differenze, dalla complessità e dai conflitti, il ricorso alla spiritualità orientale può risultare tonificante e provvidenziale proprio come un’oasi nel deserto per uno stremato viaggiatore.

Il fenomeno di globalizzazione, che riduce le distanze e incrementa la prossimità, rende molto più disponibile agli occidentali la realtà orientale. Oggi un viaggio in Tibet non è più un’attività per pochi e lo yoga, il massaggio shiatsu o la disciplina taoista tai chi chuan si vanno sempre più diffondendo.

La missione cristiana in Oriente, che ha sempre incontrato scarsi favori, in passato tendeva a sradicare gli orientali dal loro terreno.
Secondo Gandhi i missionari cristiani hanno spesso confuso l’insegnamento di Gesù con la civiltà occidentale. Il profeta della nonviolenza scorgeva nella loro azione un’inconsapevole violenza e un difetto di umiltà.

Egli chiedeva agli orientali di non allontanarsi dalla semplicità di vita dei loro padri per inseguire una vana moltiplicazione dei bisogni. Considerava il progresso tecnologico senza crescita morale un’effimera messa in scena.
Se da parte religiosa l’approccio all’Oriente è stato una civilizzazione dei barbari, da parte laica le cose non sono andate meglio.

Gli uomini di cultura occidentali hanno spesso distorto concetti orientali come il nirvana. La simpatia del mondo laico per il buddhismo fa leva su un presunto ateismo.
In realtà la religiosità orientale è un quadro quantomai complesso: gli dei sono nodi di energia e la natura è partecipe della loro azione, la realtà è pura illusione e luoghi e date non hanno importanza, il divino sta all’interno dell’uomo e lo yoga consente di perdersi in esso come una goccia nel mare.

Come può un occidentale avvicinarsi a un mondo così estraneo senza cedere alla tentazione di demonizzarlo o di civilizzarlo?
Cominciando da se stesso e praticando il dialogo intrareligioso: mettersi in gioco e fare di se stessi un problema.

Un’altra tentazione è rappresentata dall’esotismo come gusto degli elementi o degli oggetti propri di ambienti estranei al proprio paese e alla propria cultura: una sana curiosità, che spinge alla ricerca e alla conoscenza dell’altro, può deteriorarsi fino a colonizzare l’altro e a impossessarsi dei suoi tesori.

Il migliore antidoto a tale tentazione è riconoscere nell’altro gli stessi propri problemi. Alcuni nodi irrisolti nei rapporti tra ebraismo e cristianesimo, per esempio, si possono ritrovare nelle relazioni tra induismo e buddhismo.

La relazione di Gesù con l’ebraismo è simile quella del Buddha con l’induismo: è impossibile comprendere appieno il cristianesimo e il buddhismo senza conoscere rispettivamente ebraismo e induismo.

Il pensiero orientale è oggi una grande attrattiva per gli occidentali frastornati dalla propria civiltà.
L’orgoglio per una supposta superiorità comincia a lasciare spazio all’apprezzamento dei tesori spirituali dell’Oriente come la nonviolenza orientale e il rapporto di armonia con la natura.

Occorre resistere alla tentazione di saccheggiare i tesori spirituali dell’Oriente senza preoccuparsi di conoscerne le origini e comprendere le cause della loro estraneità alla nostra civiltà.