Primo compito del nuovo papa fu la conduzione del Concilio compito tutt’altro che semplice e che seppe portare a compimento manifestando una statura spirituale e culturale straordinaria.
La sua azione si caratterizzò subito per la volontà di portare a termine il discorso innovatore ormai iniziato, anche se essa non poteva prescindere dalla prudenza di un temperamento e di una personalità per molti aspetti diversi da quelli di Giovanni XXIII.
Uomo di grande carità e mitezza non riuscì ad inserirsi in pieno nel mondo dei mass media, spesso poco ben disposto nei confronti della sua figura.
Il Concilio Vaticano terminava l’8 dicembre 1965; cominciava quella che molti – forse impulsivamente – consideravano una nuova era della storia della Chiesa romana. Papa Montini fu da una parte prudente in talune aperture d’ordine disciplinare o ecumenico e fu dall’altra molto sensibile ai problemi del Terzo Mondo e della pace mondiale.
Basti considerare la lettera enciclica Populorum Progressio del 26 marzo 1967 che ben si colloca accanto a quel coraggioso documento conciliare che è la Gaudium et Spes (7 dicembre 1965).
La lettera apostolica Octogesima Adveniens (1971) rivela ulteriormente la condanna dell’ideologia marxista e del liberalismo capitalistico, ma anche la sua sensibilità sociale. Particolare coraggio e spirito pastorale animerà poi Paolo VI nella questione della regolamentazione delle nascite (enciclica Humanae vitae) e del problema della fede e dell’obbedienza alla gerarchia. Uno dei momenti forti del suo pontificato fu l’anno giubilare (1975), caratterizzato dal massiccio concorso di 8 milioni di pellegrini.
L’anno santo si chiuse l’8 dicembre con la pubblicazione dell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, il più lungo documento papale del suo pontificato.
Dal 1975 al 1978 perseguì con determinazione, fino alla sua morte, sia la politica ecumenica sia quella verso i Paesi dell’Est europeo.