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Gocce di cultura

Gustave Bardy, La conversione al cristianesimo nei primi secoli, Jaca Book – Milano 1975, sesta ristampa 2005

Felice Asnaghi

4 Marzo 2013

Gustave Bardy (1881-1955)  è stato uno dei più grandi studiosi francesi di patrologia nella prima metà del Novecento. Oltre alle sue opere di storia della letteratura cristiana antica ricordiamo le sue monografie su Didimo il Cieco, Atanasio, Paolo di Samosata, Origene, nonché la vita spirituale secondo i padri dei primi tre secoli,  e sulla teologia patristica della Chiesa.
Con il presente libro Bardy affronta le difficoltà che il cristianesimo ha incontrato, quali metodi ha dovuto impiegare, quali motivazioni ha dovuto far valere per far presa sul mondo greco-romano. L’autore nella sua presentazione alla prima edizione francese tiene a ricordare che il cristianesimo dei primi secoli poggia su due eventi sconvolgenti: la nascita di Gesù e l’editto di Costantino di cui quest’anno celebriamo l’anniversario (313-2013).

«È un fatto ben assodato che la religione cristiana ha il suo punto di partenza nella predicazione di un profeta giudeo, Gesù di Nazareth, vissuto sotto il regno di Tiberio, essendo Ponzio Pilato procuratore dei romani per la Giudea ed Erode tetrarca della Galilea. Ed è ancora un altro fatto che, meno di trecento anni dopo, l’imperatore Costantino non contento di riconoscere il cristianesimo come una religione lecita, gli ha conferito una situazione privilegiata e si è convertito anche personalmente, trascinando le moltitudini al suo seguito».

Partendo da fatti reali tramandati negli scritti e nelle memorie lasciate dai primi cristiani, l’autore procede nel suo racconto non attraverso una tesi prestabilita, ma  mettendo in luce le testimonianze di fede che quotidianamente i primi cristiani davano attraverso le persecuzioni, o il loro modo di vivere in una società profondamente divisa in classi e fondata sul lavoro degli schiavi. In sintesi, Gustave Bardy ci obbliga a confrontarci con la fede dei primi cristiani, cosicché il suo testo diviene un  valido aiuto a vivere intensamente l’Anno della Fede indetto da papa Benedetto XVI.

Primo capitolo: “La conversione nel paganesimo greco-romano”. 

«L’idea di conversione, nel senso che adesso diamo a questo termine e cioè una rottura con il passato, un dono totale dell’anima ad una nuova forma di vita, è rimasta a lungo, forse fino all’avvento del cristianesimo, totalmente estranea alla mentalità greco –romana. Non si è mai visto e nemmeno si è immaginato, un uomo rinunciare alla religione della sua città natale e dei suoi antenati, per darsi con tutto il cuore e in maniera esclusiva ad una nuova religione».

Il connubio tra religione e politica permetteva il mantenimento di uno “status quo” che tollerava la presenza di varie divinità in tutto l’impero, accettando anche che si formassero confraternite di gente straniera in città ospitali che adorassero gli dei nazionali. L’importante era sottomettersi all’imperatore di Roma, mantenere l’ordine pubblico e rispettare la morale.  Aderire a questi gruppi, nel quale un dio valeva un altro e tranquillamente se ne potevano aggiungere altri ancora, magari provenienti dall’Oriente, non esigeva un cambiamento interiore ma imponeva dei gesti, delle cerimonie formali. Certo, le manifestazioni di popolo organizzate in onore di tal dio emozionavano, riscaldavano i più bei sentimenti, ma passata la festa tutto scompariva, non rimaneva traccia. Possiamo affermare che gli iniziati di queste sette religiose non erano dei convertiti, ma persone che possedevano segreti, parole d’ordine a volte incomprensibili ma indispensabili per entrare ed essere accettati in quel mondo.
Va da sé che il concetto di santità inteso come realizzazione di un ideale di grandezza morale prenderà corpo solo con il cristianesimo, in quanto per gli antichi  la santità non era attribuita all’uomo ma alla divinità, intesa come purità rituale che gli dèi esigevano.  Le religioni nel mondo greco-romano non si ponevano il problema della purità dell’anima dei fedeli, ma che gli stessi adempissero a quelle norme prescritte dal codice di purità. Ed i motivi di impurità erano molti: la sporcizia propriamente detta, alcuni difetti fisici, il sangue versato per omicidio volontario e non, l’ingerimento di alcuni cibi o del vino, il contatto sessuale con un cadavere o con una partoriente, la perdita della verginità, le mestruazioni, il parto, l’aborto. Per liberarsi da queste “vergogne” ci si doveva lavare tutto il corpo o la parte intaccata e poi  recarsi in un santuario dove si partecipava a dei rituali purificatori.

Secondo capitolo: “La conversione filosofica”.
Filosofi  della statura di Pitagora, Socrate, Diogene il Cinico, Epicuro, Epitteto, Marco Aurelio, Nigidio Figulo, Platone e i Cinici non si contentavano di studiare i problemi posti dal mondo dell’anima e di elaborare teorie, ma  si comportavano in perfetto accordo con i principi che annunciavano. Socrate proclamava le sue teorie nella pubblica piazza e per le vie di Atene; i Cinici percorrevano il mondo sporchi e laceri ed avvolti da un mantello; Seneca si faceva direttore di coscienza ascoltato dalla nobiltà romana; Plotino si prendeva cura dei suoi discepoli, dei loro averi e dei loro figli trasformando questo in modo la filosofia in una regola di vita ed occupando il ruolo della religione. Tuttavia, dopo aver scritto dichiarazioni tanto elevate, questi filosofi non si curavano se le loro dottrine avessero avuto un impatto positivo sulla società. Degli schiavi, per esempio, se ne parlava e scriveva con comprensione, ma nella realtà ci si guardava bene dal liberarli.
In questa ricerca della verità prendevano corpo i sistemi gnostici che promettevano di dare la conoscenza ai loro adepti dei segreti che regolavano il mondo, delle sue origini, del suo destino e spiegare attraverso degradazioni che si susseguono, che il male procede dal bene e come si opererà il  giorno della restaurazione universale.
Filosofie che si confrontavano e scontravano su tematiche esistenziali. Gli epicurei negavano l’esistenza della provvidenza, mentre gli stoici predicavano la sottomissione alla provvidenza. In sostanza ai filosofi veniva attribuito non solo il potere di fornire una spiegazione della natura, di dare una regola di vita, di aiutare tutti perlomeno a morire bene, ma di insegnare anche la via della salvezza. Salvezza soprattutto dai disastri, dai pericoli dovuti alla guerra, alla malattia, dalla perdita dei beni.

Terzo capitolo: “La conversione al giudaismo”.
A partire dal I secolo dell’era cristiana, tutti i cittadini dell’immenso impero romano avevano in comune la religione di Roma e di Augusto e la celebrazione del culto imperiale li avvicinava più di quanto non avrebbero saputo fare le bellissime dichiarazioni dei filosofi sulla fraternità umana.  Solo i giudei facevano eccezione alla regola. La diaspora giudaica aveva permesso che in ogni città dell’impero si instaurassero comunità ebraiche e i loro usi e costumi si allargassero a macchia d’olio nelle città. Così era divenuta un’abitudine per tutti riposare il sabato, non mangiare certe carni, fare digiuni ed astinenze e perfino accettare la fede monoteista.  Avvennero conversioni di pagani che in realtà rimasero al primo stadio del giudaismo comunemente detto dei “Tementi Dio” in quanto non giudei per linea di sangue e non circoncisi.

«Il giudaismo non è mai riuscito a separare, secondo la grande tradizione profetica, l’elemento religioso dall’elemento nazionale, così ha perduto quando si sarebbe potuta presentare, l’occasione di attirare la moltitudine dei pagani che cercavano Dio».

É  appunto nel terreno dei “Tementi Dio”  che attecchirà il cristianesimo. Libero dai pregiudizi di razza tipico degli ebrei d’origine, il cristianesimo farà proseliti e Paolo indirizzerà le sue lettere a queste comunità.  Esempi ce ne sono tanti nei vangeli: il centurione di Cafarnao, Cornelio che moltiplica le elemosine a favore del popolo, Lidia la commerciante di porpora, Tito Giusto ecc…

Quarto capitolo: “I motivi della conversione cristiana”.

«Il mondo greco-romano non si è convertito a nessuna delle religioni orientali che sollecitavano la sua adesione; non si è convertito alla filosofia malgrado la predicazione e gli esempi degli stoici e dei cinici; non si è convertito al giudaismo, nonostante la propaganda della legge mosaica, ma si è convertito al cristianesimo».

Una trentina d’anni dopo la morte del Signore si contavano già, nella comunità di Roma, una moltitudine immensa di martiri e all’inizio del II secolo, un funzionario integro come Plinio il Giovane, aveva il diritto di dichiarare, che nella sua provincia di Bitinia la “nuova superstizione” aveva invaso non solo le città, ma anche i borghi e le campagne.
Perché il cristianesimo è riuscito là dove son falliti tutti gli altri tentativi di trasformazione o di conquista degli spiriti antichi? Una risposta adeguata a questa questione è impossibile. Il segreto delle anime appartiene a loro e noi non possiamo dimenticare la potente azione della grazia di Dio che sceglie quelli che vuole e li conduce a sé per le strade che vuole. La stessa conversione di Paolo, benché si è tentato di spiegarla, rimane avvolta nel mistero.
I primi secoli del cristianesimo portavano con sé eresie che si spingevano a cercare le spiegazioni sulla vita e sul cosmo tipiche del fenomeno gnostico.  Si trattava di movimenti che si ricollegavano al giudaismo, alle religioni orientali, al paganesimo greco-romano e promettevano la conoscenza infallibile delle cose. Non gli bastava sapere che “il Verbo era la vita e la vita era la luce degli uomini”.
Il cristianesimo si trovava a lottare non solo con le sue derive gnostiche, ma contro concetti pagani che determinavano la vita degli uomini. Era un mondo ossessionato dalla paura di cadere in schiavitù per mano  straniera o per debiti, ma in realtà serpeggiava anche una schiavitù intellettuale da cui era impossibile liberarsi: quella del destino inesorabile che già segnava l’uomo dalla nascita. Il cristianesimo insegnava la fede nella provvidenza e in un Dio infinitamente saggio e buono, liberava i pagani dalla schiavitù del peccato, più pesante forse di quanto non fosse per i giudei la schiavitù dalla Legge e donava  una nuova idea di giustizia fondata sul perdono.
In questa ottica la morale cristiana era ben altra cosa dall’allontanamento dal peccato, era un’opera positiva, il dono di sé fino al sacrificio supremo: era l’amore.  In una rinnovata libertà personale si collocava il rituale del battesimo che prenderà piede verso l’anno duecento. Con questo gesto si esorcizzava il male, si allontanava il demonio e gli spiriti cattivi e si imponeva il sigillo di Cristo.
L’esempio dei martiri fu il primo motivo della crescita della chiesa, eppure la conversione di molti cuori fu dovuta anche alla lettura della bibbia e delle stesse agiografie dei santi, ma anche l’annuncio della fine del mondo (la paura) spingeva molti uomini a ravvedersi.

Capitolo quinto: “Le esigenze della conversione cristiana”.
La prima e pressante richiesta del cristianesimo era la rinuncia al passato. Paolo al riguardo è tassativo: “Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova, le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2 Cor 5,14/15,17). La seconda, l’adesione ai dogmi della fede. Gli apologisti cristiani più accreditati tra cui Giustino, Atenagora, Cipriano, Arnobio, Ignazio di Antiochia, Ireneo di Lione, Origene, Eusebio, Ippolito e Tertulliano, Clemente Alessandrino hanno cercato di spiegare i dogmi cristiani attraverso argomentazioni, ma in molti casi si sono trovati di fronte a grosse incomprensioni soprattutto nel mondo filosofico. La Trinità, il Cristo che muore e risorge, ma soprattutto sono il giudizio universale e la resurrezione che non venivano accettati. Quando Paolo annuncerà la buona novella ad Atene, la gente lo ascolterà, ma appena argomenterà sulla resurrezione della carne i presenti si prenderanno beffe di lui. Lungi comunque dal concepire la chiesa dei primordi una setta misterica anzi l’adesione ad essa era una scelta libera regolata dall’amore e che Agostino così riassumeva:  “Ama e fa ciò che vuoi”.  

Sesto capitolo: “Gli ostacoli alla conversione cristiana”.
Il capitolo inizia con la celeberrima Lettera a Diogneto attribuita da molti a Quadrato di Atene.  È impossibile rileggere senza gioire questa lettera: «Essi non abitano in città a parte; non hanno una lingua esotica, non vivono una vita singolare…» . In realtà in questo testo c’è molta retorica, perché  il cristiano era straniero alle tradizioni che aveva volontariamente rinnegato, estraneo alla sua famiglia, al suo ambiente sociale, alla sua città. L’opinione pubblica lo condannava, le istituzioni e i costumi lo escludevano. In un mondo in cui il rispetto del passato in materia religiosa era la regola fondamentale, il cristiano appariva come un uomo senza storia. Egli lo sapeva e non indietreggiava davanti a queste prospettive.  Cristo era stato chiaro: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra …. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera: e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me» (Mt 10,34; Lc 14,26).

Settimo capitolo: “I metodi della conversione cristiana”.
Il cristianesimo dopo tre secoli di religione illecita come ha potuto divenire non soltanto una religione autorizzata, allo stesso titolo del giudaismo, dei culti orientali di Iside, Cibele e Mitra, ma la religione dell’imperatore e dell’impero? Quali metodi sono stati impiegati per assicurarsi un successo presso le anime, tanto che il cristianesimo già nel II secolo era dappertutto?
In primis l’azione individuale di ogni cristiano sull’esempio degli apostoli. Gustave Bardy rievocando l’incontro dei primi due discepoli con Gesù e la spontaneità con cui Andrea corre a raccontare quello che gli è successo a suo fratello Simone (cfr. Gv 1,35 ss), appositamente scrive:

«Forse è questo il modo in cui per circa due secoli il cristianesimo conquistò la maggior parte dei suoi fedeli. Ogni credente era necessariamente un apostolo: una volta incontrata la verità, non conosceva tregua né riposo fino a che non riusciva a rendere partecipi della sua felicità i membri della sua famiglia, i suoi amici, i suoi compagni di lavoro».  

E a questa missione possono consacrarsi tutti – continua l’autore:

«anche i più poveri, i più ignoranti, i più disprezzati; gli schiavi, con i loro compagni di dolore; i marinai, durante gli scali; i commercianti con i loro clienti, sempre in attesa di notizie dai paesi lontani…»

Per secondo l’azione efficace dei predicatori. Cristiani che affrontavano dibattiti pubblici o le stesse arringhe dei martiri di fronte ai giudici.
Per terzo l’impegno degli intellettuali che aprivano scuole, scrivevano agiografie di santi ed accettavano il confronto letterario con i filosofi pagani.
Per quarto le cerimonie cristiane che non erano fastose come quelle pagane ma rinsaldavano i rapporti fraterni tra gli stessi fedeli. In esse si celebrava l’eucarestia con lo spezzare del pane, si ascoltavano le letture del vecchio e del nuovo testamento e si assisteva all’omelia del celebrante, alle quali partecipavano anche gli sconosciuti che avevano con sé le lettere di comunione vergate dal vescovo di provenienza. Nell’occasione si cantavano salmi, inni e cantici, mentre le canzoni erano destinate al grande pubblico della strada in quanto scritte per essere imparate da tutti.

Ottavo capitolo: “L’apostasia”.

«L’apostasia è in qualche modo il rovescio della conversione, giacché ogni convertito è quasi necessariamente un apostata rispetto alla religione che abbandona, al partito che lascia, alla scuola filosofica che disdetta». 

Vi era qualcosa di penoso in questo atteggiamento, l’uomo onesto non doveva cambiare avviso perché restava fedele alle idee della giovinezza, alle tradizioni del suo passato e quindi assumeva un carattere di infamia, equiparato al delitto. Anche nella chiesa l’apostata era colui che dopo aver aderito all’insegnamento del Salvatore e aver ricevuto il battesimo, abbandonava la chiesa e tradiva le sue promesse.
Il primo esempio di apostata è senza dubbio Giuda. Nei primi secoli, con il pullulare delle eresie, era l’attrazione allo gnosticismo il nesso che portava all’apostasia.  Il carisma profetico dei capi eretici, l’uso di procedimenti magici, i metodi spiritisti o negromanti e cartomanti facevano breccia nel popolo. Capitolo a parte la paura delle persecuzioni che induceva molti cristiani a preferire l’idolatria al martirio.
Gustave Bardy in questo ultimo capitolo traccia la figura di Giuliano detto l’apostata. Divenuto imperatore decide di abiurare il cristianesimo e di ritornare ad adorare gli dei pagani. La sua sarà un’apostasia ragionata, nata dallo studio delle letture sacre, alla quale aderirà con la mente e col cuore.

Il libro termina con alcune considerazioni significative sia per quanto concerne la storia del cristianesimo, sia per il suo impatto personale.

«Quando una religione ha attraversato prove talmente terribili come le persecuzioni di Decio, di Valeriano, di Diocleziano; quando, malgrado le perdite, essa si è dimostrata sufficientemente potente per obbligare i suoi persecutori non solo a riconoscerla e a tollerarla, ma a farne pubblicamente professione, essa è praticamente invincibile».

«È successo, nel corso dei secoli, che popoli interi si convertissero al seguito dei loro re; è anche accaduto che folle numerose, venissero alla chiesa, trascinate, per spirito di imitazione, per ambizione. Per quanto importanti siano stati per la storia generale fatti di questo genere, ai nostri occhi sono meno significativi delle conversioniindividuali, provocate dalla grazia di Dio. San Paolo, san Giustino, san Cipriano di Cartagine, Arnobio, Lattanzio, sant’Agostino, i nomi di questi uomini retti e sinceri che si sono sempre lasciati fare dalla verità».