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Gocce di cultura

Raymond Oursel, Pellegrini del Medio Evo-Gli uomini, le strade i santuari

Jaka Book, Milano, 1979. Ristampa del 1997.

Felice Asnaghi

27 Settembre 2013

Raymond Oursel è stato un’autorità indiscussa della storia del medioevo francese. Le sue numerose pubblicazioni sono un punto di riferimento per qualsiasi ricerca sia di carattere storico, sia artistico. In questo saggio l’autore definisce l’idea di pellegrinaggio vissuto nel mondo occidentale e cristiano, con un occhio di riguardo verso il cammino francese di Compostela. Ne rivela i risvolti sociali ed artistici, dandoci uno spaccato della società medioevale di straordinaria vivacità.

Sappiamo come nelle antiche religioni, da quella ebraica a quella buddista, il pellegrinaggio rituale fosse normalmente praticato, così come numerosi ex voto pagani ci testimoniano che anche la Grecia e Roma erano a conoscenza dei pellegrinaggi votivi alle divinità taumaturgiche. Assumendo questa eredità il cristianesimo la trasfigura e la esalta. Innanzitutto liberandola da ogni obbligo legale o riduzione a gesto stereotipato, poi offrendo alla venerazione non più una cornice astratta, arbitraria, convenzionale, di vecchio tempo, di monte o fiumi sacri, bensì offrendo luoghi palpabili dove si evocava il Cristo-Dio fatto carne. Infine alimentando, con rispetto, la memoria di coloro che sulla terra furono gli imitatori del Maestro. Agli inizi del cristianesimo, il pellegrinaggio si sviluppa a due livelli. La precisione del racconto evangelico fa si che dopo l’Editto di Costantino fosse possibile visitare i luoghi dove Gesù visse e parallelamente organizzare l’itinerario sacro alla Terra Santa con tanto di guida. Si tratta di un documento prezioso detto “Itinerarium Jerusalem usque” comunemente abbreviato in “burdigalien” (IV secolo) che riporta le varie tappe del pellegrino che partendo da Bordeaux raggiungeva Gerusalemme lungo la via “Domitia”.

Nell’insicurezza generale generata dalla dissoluzione dell’impero romano, dalle grandi invasioni e poi dall’anarchia merovingia emerge la figura del defensores civitatis proprio per lo stato di miseria
generale. Ogni città ha il suo martire e la tomba su cui pregare e venerare. Il culto delle reliquie prende forma e consistenza ed ogni chiesa si dà da fare pur di procurarsi una parte del corpo di questi santi.
Nasce il problema della conservazione delle reliquie, di norma sono poste in casse finemente lavorate ed esposte entro nicchie attorno alle quali si organizza il percorso per l’afflusso dei fedeli. Con i secoli si sviluppano attorno a questi santuari i pellegrinaggi. Nascono delle vere e proprie scuole di pensiero culla di quello che oggi chiamiamo architettura romanica dove trovano spazio gli artisti con i loro affreschi dal carattere prettamente didattico, i cantori con le famose canzoni popolari, e si scrivono le prime guide, la più famosa è la Guida del pellegrino di Santiago datata XI secolo.
Questo è il secolo della dissoluzione dell’impero carolingio e la nascita di potentati feudali. I commerci ricominciano, le terre vengono dissodate, nascono i villaggi con le loro parrocchie e si espandono i conventi mediante la riforma di Cluny. In questo clima disteso riprendono i pellegrinaggi alle tombe dei santi e dei martiri cristiani. Il popolo franco dell’XI secolo mantiene quel carattere rude del barbaro capace di gesti violenti e poco inclini al perdono. Così chi si confessa deve accettare una penitenza adatta allo sbaglio (a volte cruento) commesso e in molti casi si tratta di compire un pellegrinaggio per espiare il peccato. Adempiere un pellegrinaggio è un rischio, ma è il metodo giusto per un popolo che per secoli fu nomade, così guerrieri, giullari, chierici, pellegrini ogni giorno attraversano le vie della Francia. Non esiste la nozione del domicilio e per le strade è possibile fare incontri straordinari che portano alla conversione. È un periodo di cambiamento anche nelle architetture delle chiese. Dal romanico si passa al gotico un po’ come passare dall’aurora al crepuscolo, segno di una consapevole ascesi verso Dio.  Il pellegrino fosse esso popolano, borghese, ignorante o colto sceglie nel segreto della sua coscienza di intraprendere il viaggio, tale è la dimensione popolare di questa ricerca interiore che non si può limitarne le motivazioni a questioni personali ma da allargarsi ad un contesto sociale e frutto di una mentalità corale. A riprova sono i nobili, i re, i priori e i vescovi che vi si cimentarono, certi di ricavarne un bene superiore alla fatica.

 

Il bisogno di accedere fisicamente ad un luogo santo era la priorità del pellegrino. Gerusalemme è la città per eccellenza nel XII secolo.  Così nel 1033, nel millenario della passione di Cristo si organizzano grandiose spedizioni, poi quando i Turchi nel 1078 conquistano la Palestina e bloccano ogni pellegrinaggio alla tomba di Cristo, scoppia una grande indignazione in tutto l’Occidente che conduce alla prima crociata del 1095. Riprendono i pellegrinaggi per terra lungo la Burdigalien o attraverso la via del mare. Per la difesa dei luoghi sacri vengono creati due ordini militari: i Templari originario della Champagne e sostenuto da san Bernardo e quello dell’Ospedale di san Giovanni di Gerusalemme. Il loro compito è anche quello vegliare sulla sicurezza, sempre precaria, lungo il cammino sia in Francia, sia in Spagna, come in Italia.

L’impossibilità di raggiungere Gerusalemme apre la strada verso Roma dove il fedele può pregare sulle tombe di san Pietro, san Paolo e venerare le reliquie dei santi apostoli Bartolomeo, Giacomo il minore, Filippo, Simone, Giuda, Andrea, Matteo, che vi erano state trasferite in epoche differenti. Con l’istituzione dell’anno giubilare nel 1300 il pellegrino volentieri si mette in viaggio per acquistare l’indulgenza plenaria con le grazie annesse.

La terza via di quel tempo è Compostela. Dopo il IX secolo i re cristiani di Spagna hanno brandito il patronato dell’apostolo Giacomo nella lotta contro i mussulmani, mentre gli ordini religiosi e in particolare Cluny hanno messo a disposizione del pellegrinaggio la loro influenza e una parte delle loro immense risorse. Santiago simboleggia la reconquista della Spagna sui mori: croce contro mezzaluna, Cristo contro Maometto. Durante l’XI e il XII secolo esplode questo movimento di riconquista, la crociata è posta sotto il segno di san Giacomo anche perché secondo la leggenda avrebbe evangelizzato la Spagna e nell’844 sarebbe apparso spada alla mano, cavalcando un cavallo bianco mettendo in fuga gli arabi. Fu così denominato Matamoro, lo sgominatore dei mori.

 

Il pellegrino di Terra santa era detto palmiere, dal nome delle palme che andava a cogliere a Gerico; quello di Roma: romeo, mentre quello di Compostela jaquot, jaquet o jaquaire. Il termine di pregrinos che lo qualifica specifica la sua condizione. In latino classico significa straniero, forestiero, chi non ha diritto di cittadinanza. Non si sa dunque in che periodo, invece, il senso religioso si sia sostituito a quello primitivo, sappiamo però che dopo la prima crociata il termine è divenuto usuale, come l’iconografia che lo rappresenta. San Giacomo o il suo discepolo san Rocco pellegrino a Roma nel XIV secolo, portano i tipici abiti del viandante: mantello a forma pellegrina (appunto) che copre tutto il corpo fino ai piedi, sandali, cappello rotondo a larghe tese, o cappuccio, il bastone per la marcia (detto bordone), la bisaccia per contenere poche cose e per lo più pane. In altri casi troviamo rappresentazioni di pellegrini con tuniche che arrivano sopra il ginocchio, strette in vita con una lunga cappa aperta sul davanti e la sciarpa a tracolla.

Momento cruciale del pellegrinaggio è la partenza. Il pellegrino si stacca dai parenti, visita la chiesa della parrocchia e raccomanda a Dio e ai santi tutelari, la famiglia e gli interessi. Egli sa che sta per intraprendere un viaggio a piedi pericoloso, dove mette a rischio la vita e che durerà anni. La spiritualità che acquisterà lungo il viaggio sarà forgiata di volta in volta dal denudamento e dalla rassegnazione o l’indifferenza agli allettamenti, ma anche dalla solidarietà tra i pellegrini, dall’eucarestia che cerca di partecipare con pienezza nelle varie cappelle, oratori e santuari che incontra lungo il percorso, dal suono delle campane di un paese incontrato, o intonando il vecchio e memorabile canto che così bene si accorda al ritmo del passo verso Santiago: E ultreia. E sus eia. Deus aïa nos!  (E oltre. E sopra. Dio ci aiuta!). Il pellegrino deve fare i conti anche con la fame e la malattia, gli incidenti e i dolori ecco dunque gli ospizi e le locande disseminati lungo le varie strade. Un ruolo quello degli ospedali sostenuti dai frati Antonini o del Tempio di San Giovanni di Gerusalemme, indispensabile tanto che un’iscrizione incisa sulla campana dell’ospizio di Aubrac così declama. Deo jubila. Clero canta. Demone fuga. Erantes revoca. (Giubila per Dio. Canta per il clero. Caccia i demoni. Richiama i dispersi).

L’autore in questo capitolo (La via) non si limita a descrivere l’atteggiamento del pellegrino, ma elenca gli ospedali, le chiese, i santuari che sono disseminate lungo le vie per Santiago in territorio di Spagna e Francia arricchendo il racconto di particolari artistici e storici.

 

Il pellegrino di Santiago, lo jaquot, non ha altro obbligo che di camminare e questo gli basta. Uno degli aspetti più significativi del pellegrinaggio cristiano e medioevale in particolare è giustamente l’assenza di ogni formalismo rituale, in una religione come questa tutta penetrata di gesti e simboli liturgici e ricca di esorcismi solenni e anche la libertà lasciata ad ognuno di organizzare, quasi a suo piacimento, la forma religiosa del suo cammino. Deve comunque sottostare a precetti spirituali per arricchire l’animo e visitare le tombe dei vari santi che incontra lungo il cammino, ma soprattutto è pregato di compiere tre gesti di carattere più o meno rituali. Il primo consiste nel piantare una croce sulla sommità del passo di Cize o vicino al passo di Bentarté, oppure sul passo stesso “dopo aver piegato le ginocchia rivolti verso la patria di san Giacomo e dopo aver pregato come di consueto”. La tradizione risale a Carlo Magno che inizia per primo questa pratica (secondo la Guida di Santiago). Il secondo è di trasportare a spalle da Tricastela (località ricca di pietre da calce) a Santa Maria de Castañeda una pietra utile alla fabbrica della chiesa del santo (a Castañeda vi erano forni per la calce): un contributo alla costruzione ed alla manutenzione di chiese e strutture assistenziali. Il terzo rituale è l’uso “per amore dell’Apostolo” (così ancora la Guida) di lavarsi, in un fiume a due miglia da Compostela, mentulas suas, cioè le parti intime, ed ogni sporcizia del corpo. Norma igienica, indispensabile prima di entrare in una città che era solita accogliere grandi masse di devoti itineranti, o abluzione purificatoria, come sembra volerla presentare la Guida. Con molta probabilità, ancora una volta, si ha un esempio in cui l’elemento materiale si fonde in modo indissolubile con il senso spirituale. Certo è che la pratica doveva avere una diffusione reale consistente, se il corso d’acqua di cui parla la Guida era al tempo denominato Lavamentula. Il pellegrino è ormai vicino al santuario della Galizia e può ammirarla da un’altura detta appunto Montjoie, a giorni entrerà in Santiago ed acquisterà la conchiglia quale testimonianza del cammino intrapreso e prova concreta dell’adempimento del suo voto.

 

Raymond Oursel nel quinto capitolo presenta la celeberrima “Guida del pellegrino di Santiago” definendola un’opera semplice e allo stesso tempo potente. Il pellegrinaggio di Galizia deve la sua notorietà anche al sapore leggendario delle sue origini, conserva il suo aspetto di kermesse stravagante, di quell’inverosimile accostamento di sacro e profano, la mescolanza di magnifiche liturgie e di carnevale in cui lo straniero è preso, rapito e ne diviene attore in un contesto corale unico nel suo genere.  La Guida scritta, sembra, da tal Aymery Picaud sacerdote, denominato pure Olivier d’Asquines maritato con una tale Gerbenda di Fiandra, è in realtà il quinto e ultimo libro del manoscritto intitolato Codex Calixtinus (o libro di san Giacomo) dal nome del papa Callisto II (1119-1124). Nei suoi undici capitoli, la Guida, si suddivide in quattro articolazioni. Si apre con la presentazione delle quattro strade che percorrendo la Francia di sbieco convogliano verso i Pirenei i pellegrini, poi elenca le tappe dell’itinerario spagnolo. Qui le due vie di Roncisvalle e Sonport d’Aspe convergono a Puente la Reina, città situata a ventiquattro chilometri da Pamplona sul rio Arga. Da là- annuncia la Guida – una sola via conduce a Santiago.  La seconda parte dell’opera enumera le terre e le persone che si incontrano sul cammino. È una relazione geografica, sociale, folcloristica. La terza parte è dedicata ai “corpi santi” che riposano lungo le vie per Santiago e che i pellegrini devono visitare. Un elenco interminabile di strade e santuari con aneddoti, miracoli ed agiografie. Seguono, nell’ultima parte, indicazioni pratiche per il pellegrinaggio.

L’autore, dopo un accurato approfondimento storico inerente al periodo medioevale francese pone una domanda chiave. Il pellegrinaggio di Compostela fu organizzato dal monastero di Cluny? L’abbazia mette in gioco tutta la sua potenza per organizzare le tre crociate francesi e secondo studi di imminenti storici porta alla ribalta dell’opinione pubblica il cammino di Santiago. Lungo le strade che conducono ai Pirenei, infatti, operano monasteri cluniacensi, così come in terra di Spagna. Certamente Cluny, benché non fosse tra i primi a mettere in moto il pellegrinaggio, lo potenzia e ne fa cassa di risonanza ad ogni livello, perché perfino i re di Castiglia si possono enumerare tra i benefattori dell’abbazia.

Il capitolo settimo del libro approfondisce le vie di Spagna e Francia del cammino di Compostela. La Guida disegna e descrive le quattro strade. Una passa da Sant’Egidio, Montpellier, Tolosa e i passi d’Aspe; un’altra attraversa Santa Maria Maddalena di Vézelay, San Leonardo in Limosino e la città di Pèrigeux; un’altra ancora attraversa San Martino di Tours, Sant’Ilario di Poitiers, San Giovanni d’Angèly, Sant’Eutropio di Saintes e la città di Bordeaux. Quelle che passano per Santa Fede, San Leonardo e San Martino si riuniscono a Ostabat e, passato il passo di Cize, raggiungono a Puente la Reina la via che scavalca i passi d’Aspe e da lì si raggiunge Santiago per una sola via che caratterizza il cammino spagnolo.

Lungo le quattro vie principali e quelle adiacenti nei secoli vengono costruite abbazie, monasteri, ospedali e chiese e santuari mete di pellegrinaggi regionali. Le più importanti chiese sono certamente quelle di Conques, San Saturnino di Tolosa, la stessa cattedrale di Compostela, San Martino di Tours e poi le chiese dell’Alvernia, del Limosino, di Santo Stefano di Nevers e Champagne sul Rodano, di Notre Dame di Puy e Sant’Ilario di Poitiers, di Saint Front di Pèrigeux in Aquitania, della Maddalena di Vèzelay, di Saint Gilles du Gard.

Una volta tornato a casa,  il pellegrino narrerà ai suoi paesani tutto ciò che ha appreso lungo la via da musici, giullari o nelle fiere dove ha avuto occasione di sostare. Senza volerlo egli diverrà un operatore culturale di prima qualità, che intesserà tra città e città, tra paese e paese, un fittissimo ordito di informazioni. Una funzione che continuerà a svolgere perché attraverso il gergo appreso sarà sempre in grado di comunicare con quanti, diretti a Santiago o ad altre mete, passeranno per la sua città, o chiederanno ospitalità alla sua confraternita, o incontrerà nelle fiere, nei mercati o lungo le strade della sua te.