Milano continua a fare i conti con una crisi abitativa che, secondo il Sicet Cisl, assume contorni di maggior emarginazione. Nel 2024 il fenomeno degli sfratti ha registrato infatti un ulteriore aumento rispetto allo scorso anno, quando il dato aveva raggiunto le 2.178 convalide emesse dal tribunale. A fotografare la situazione è Mattia Gatti, segretario provinciale del Sicet Cisl, che sottolinea come gli sfratti per morosità siano alimentati anche da affitti che spesso superano il 40%, e in molti casi il 50 o addirittura 60%, del reddito familiare. «Alla prima difficoltà, una spesa imprevista come il dentista o un calo temporaneo dei redditi, non per forza con un licenziamento, ma banalmente una periodo di cassa integrazione, piuttosto che una diminuzione degli straordinari, la perdita di un piccolo lavoro che magari faceva la moglie, molte famiglie non riescono più a pagare e finiscono in morosità. A pagarne le conseguenze non sono solo i nuclei più fragili, ma anche famiglie con redditi apparentemente “normali”, spesso monoreddito o con due stipendi comunque insufficienti a fronte dei canoni richiesti».
Oltre agli sfratti per morosità, cresce anche il numero per finita locazione, complici le aspettative dei proprietari, attratti dalla possibilità di guadagni maggiori attraverso affitti brevi o vendite redditizie. Spesso, come accaduto in passato in via Civitali, interi stabili cambiano proprietà, e i nuovi gestori decidono di liberare gli appartamenti, rendendo ancora più difficile per gli inquilini trovare soluzioni alternative. «Fino a pochi anni fa – osserva Gatti – chi riceveva la disdetta riusciva in qualche modo a ricollocarsi, magari spostandosi in periferia. Oggi questa opzione è sempre meno praticabile: le famiglie si rivolgono a noi confessando di aver cercato senza successo una nuova casa in affitto».
Le case popolari non bastano, anzi diminuiscono
Al fenomeno degli sfratti si aggiunge un sistema dell’edilizia residenziale pubblica che, negli ultimi sei anni, ha visto ridursi il suo patrimonio immobiliare. Rispetto al 2019 gli appartamenti gestiti da Aler e Comune di Milano, dunque gestiti da Mm, sono scesi da 65.986 a 62.457. «Le proprietà diminuiscono – spiega Gatti – sia per effetto delle vendite, sia perché molte case popolari vengono sottratte alla destinazione originaria attraverso processi di ‘valorizzazione’. Vengono assegnate con bandi a canoni più alti, riservati a chi ha redditi superiori».
Senza contare il problema delle case lasciate sfitte. Gatti aggiunge che sempre più spesso, dopo il rilascio di un alloggio, questo resti vuoto anche per mesi. Talvolta si tratta di immobili che si decide di valorizzare in futuro. Il segretario fa l’esempio di un ipotetico appartamento a Isola. Se ristrutturato e messo in vendita, oggi sarebbe un asset particolarmente redditizio, ma solo se conservato alla perfezione. Bastano infiltrazioni dal piano di sopra a rendere una casa in prossimo stato di vendita completamente da rifare. Senza questa manutenzione, il più delle volte non di particolare invasività, il piccolo tesoretto si trasforma invece in una casa che si deteriora. «E in tantissimi casi aggiunge Gatti – questi appartamenti, seppur sfitti, hanno comunque i riscaldamenti accesi e con spese condominiali a carico della collettività. Murando gli appartamenti vuoti, si rende inoltre in molti casi impossibile qualsiasi verifica dello stato degli immobili».
Per quanto riguarda le previsioni di nuove costruzioni, Gatti aggiunge che le uniche iniziative in corso, come il piano straordinario varato dall’ex assessore Bardelli, sono concentrate su edilizia a canone calmierato, pensata più per il ceto medio che per le fasce più deboli. «Abbiamo chiesto che una quota significativa di nuove case sia riservata all’edilizia popolare, ma al momento non esistono impegni vincolanti in tal senso. Serve una scelta politica chiara: la casa deve tornare a essere considerata un diritto, non solo una voce di bilancio».




