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Milano

Burgio sul 15enne omicida: «Spia di un vuoto umano e sociale»

Il cappellano del Beccaria incontrerà il ragazzo che ha ucciso un’anziana ex vicina di casa: «Alla base di questi fatti c’è la mancanza del senso della vita, spesso aggravata da solitudine, dipendenze e disagi di vario tipo». Le strategie per prevenire drammi di questo tipo

di Stefania CECCHETTI

16 Maggio 2025
Il caseggiato in via Bernardino Verro, teatro dell'omicidio (Agenzia Fotogramma)

Cosa scatta nella mente di un ragazzo giovanissimo, appena quindicenne, per spingerlo a uccidere? È questa la domanda assillante dopo l’omicidio di un’anziana residente nel quartiere Vigentino a Milano per mano di un suo ex vicino di casa. Il giovane ha subito confessato il delitto alla madre, che ha chiamato le forze dell’ordine. Ora è in attesa di convalida dello stato di fermo al Beccaria.

Don Claudio Burgio, cappellano dell’Istituto penale minorile e fondatore della Comunità Kayros, avrà a breve un incontro con il ragazzo. «Quello che posso dire senza conoscere ancora la persona è che al Beccaria, ma ho l’impressione in tutta Italia, i casi simili sono in aumento -spiega -. Per fortuna parliamo di percentuali ancora basse, ma indubbiamente sono casi eclatanti, che scuotono le coscienze».

Mancanza di empatia

Un fenomeno che il sacerdote si spiega così: «Credo che alla base, nella psiche di questi ragazzi, ci sia l’idea che la vita umana non sia poi così importante. Io li definisco analfabeti emotivi e sentimentali: mancano di empatia, non capiscono, né il dolore che provocano, né il disvalore dei propri gesti. Manca completamente in loro un senso della vita, della socialità e della comunità. Sono molto individualisti e per le loro necessità impellenti sono disposti a tutto. Il problema è che hanno anche un’impulsività che non conosce limiti e questo li espone ad agìti anche molto gravi».

Don Claudio Burgio
Don Claudio Burgio

Questo ultimo aspetto può essere complicato dall’uso di sostanze stupefacenti e di alcol, che «alterano la percezione di sé e dell’altro» e, come sembra nel caso in questione, anche dal disagio mentale: «I dati che giungono dalle neuropsichiatrie – spiega Burgio – ci dicono che le patologie psichiatriche sono in aumento tra i giovani. Insomma, dobbiamo fare i conti con un malessere diffuso che porta a compiere gesti non propriamente consapevoli. In alcuni casi si è effettivamente di fronte a una incapacità di intendere e volere, che poi porta all’assoluzione».

Non sempre queste situazioni psichiatriche vengono intercettate per tempo e curate e questo ci parla di una società assente, come conferma Burgio: «La mancanza di una rete sociale è un tratto comune a tante di queste storie. Spesso sono ragazzi molto soli, che si trovano ad affrontare tante difficoltà, a cominciare da quelle familiari». D’altra parte, è anche vero che è difficile parlare con loro: «Spesso sono molto chiusi, è difficile che riescano a verbalizzare, anche perché non hanno fiducia nella capacità di aiuto degli adulti. L’adulto è estromesso dalla loro vita, non è visto come un’autorità di riferimento, ma è solo strumentale ai loro bisogni: se non è più utile viene “fatto fuori”, simbolicamente e, purtroppo, in alcuni casi anche materialmente».

Che fare?

Come intervenire in questo vuoto umano e sociale? «Nell’ambito della giustizia minorile, anche nella Comunità Kayros, cerchiamo di favorire i percorsi riparativi – racconta Burgio -. Poter venire a contatto con il dolore dell’altro, che sia la stessa vittima dei propri reati o un’altra vittima, di un reato simile, è una enorme possibilità. In una società in cui la narrazione più in voga è quella della competizione, della forza e dell’esibizione di sé, è importante che i ragazzi siano portati “dentro” le situazioni, altrimenti non le percepiscono».

Questo vale per chi un reato l’ha commesso, ma anche a livello preventivo, sottolinea Burgio: «Già in ambito scolastico si evidenziano condotte violente, anche a livello verbale, che possono andare in escalation se non affrontate. Sono episodi che non vanno occultati e neanche solo puniti: è importante aiutare i ragazzi a capire le conseguenze dei loro gesti. La scuola, le società sportive e in generale le agenzie educative devono mettere in atto strategie per stare dentro queste dinamiche tra coetanei e aiutare i ragazzi a leggerle».

E i genitori, quali strumenti hanno a disposizione per educare all’empatia? «Anzitutto devono viverla – suggerisce Burgio -. Un figlio apprende anche da come il genitore si comporta nell’affrontare i conflitti, non solo a livello familiare». E, nella tragedia, un genitore può coprire, scappare o, come la mamma del ragazzo protagonista del fatto al Vicentino, denunciare: «Un gesto difficile e doloroso – conclude Burgio -, che può sembrare un’azione punitiva, ma che in realtà è un atto di amore, di cura e di aiuto, perché apre al figlio la strada del recupero».