Già a cinque anni i bambini giudicano le azioni in base a una sorta di “codice morale interno” che li guida e che non dipende dalla natura del colpevole. Per un bimbo della scuola dell’infanzia rubare o non condividere è sempre sbagliato, che a farlo sia un coetaneo, oppure un robot.
Questa tendenza vale anche sul piano emotivo: i bambini di questa età attribuiscono emozioni negative – dispiacere, colpa – anche ai robot, come se fossero capaci di sentire. L’idea che i bambini “umanizzino” i robot non è nuova, ma qui appare ancora più evidente. Inoltre, si osservano interessanti differenze culturali a livello di giudizi ed emozioni.
È quanto scoperto in uno studio pubblicato sulla rivista Behaviour & Information Technology, coordinato da Antonella Marchetti, direttrice del dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica, Campus di Milano e del Ceritom (Centro di ricerca sulla teoria della mente e le competenze sociali nel ciclo di vita), in collaborazione con studiosi di Kyoto, Osaka, Warwick.
La ricerca
La ricerca ha coinvolto bambine e bambini italiani e giapponesi per esplorare come si formano i primi giudizi morali e quanto conti il fatto che il protagonista della trasgressione sia un umano o un robot. La prova consisteva nel far vedere ai bimbi un personaggio — a volte un bambino, a volte un robot — che prende qualcosa che non è suo o si rifiuta di condividere qualcosa di cui dispone. Poi arriva la domanda: «È giusto o sbagliato?» E ancora: «Secondo te, come si sente chi ha fatto questa cosa? E tu, se fossi stato tu al suo posto, come ti sentiresti?».
Cambia il giudizio a seconda dell’impostazione educativa
Il primo risultato è sorprendente, sottolinea Marchetti: «I bambini non fanno quasi alcuna differenza tra esseri umani e robot quando si tratta di giudicare un’azione morale. Per loro, rubare è sbagliato, non condividere è sempre sbagliato. Il giudizio non cambia se a farlo è una persona o un robot». Ma se la distinzione tra umano e robot sembra sfumare a livello generale, le differenze culturali tra Italia e Giappone emergono con forza rispetto a giudizi ed emozioni. I bambini italiani formulano giudizi morali più severi, soprattutto sul piano cognitivo: per loro, rubare o non condividere è «sbagliato» e basta. Al contrario, i bambini giapponesi tendono ad attribuire più emozioni negative ai trasgressori, soprattutto nei casi in cui non si condivide. Ciò è probabilmente connesso a una diversa impostazione educativa.
Inoltre, non è raro che, quando un bambino si comporta male, l’adulto punisca con uno sguardo deluso o un invito a «pensare a come si è sentito l’altro». E infatti, quando ai bambini di entrambi i Paesi viene chiesto di mettersi nei panni del trasgressore, le differenze culturali si attenuano. Tutti iniziano a provare più emozioni negative: disagio, senso di colpa, empatia. Ma anche qui i bambini giapponesi sembrano sentire tutto più intensamente.
«In sintesi, la morale c’è anche nei più piccoli ed è potente. Ma prende forme diverse a seconda della cultura. In Italia sembra più legata alla regola e all’esito; in Giappone più al sentimento e alla relazione – conclude Marchetti –. Questa ricerca ci invita a guardare i bambini con occhi nuovi: non come piccoli adulti in costruzione, ma come giudici morali già attivi, con una bussola interiore, emozioni vere e uno sguardo sorprendentemente lucido e profondo anche sulle macchine».




