Sirio 06-12 maggio 2024
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Calcio

Addio a Pelé, O Rey in eterno

Il leggendario fuoriclasse brasiliano si è spento a 82 anni. Il suo Paese lo piange come un eroe nazionale, il mondo lo celebra come un’icona

di Mauro COLOMBO

30 Dicembre 2022
Pelé con la maglia del Brasile

Se a un ragazzo di oggi parli di Meazza, è molto probabile che lui pensi allo Stadio di San Siro dall’incerto futuro, più che al campione degli anni Trenta a cui l’impianto è intitolato. Se allo stesso ragazzo chiedi quale è stato il gol più bello di Pelé – al secolo Edson Arantes do Nascimento, morto ieri a 82 anni in un ospedale di San Paolo dopo lunga malattia -, è facile che indichi la spettacolare rovesciata in una delle ultime scene del film Fuga per la vittoria. Una rete segnata sul set, invece delle oltre 1200 “reali” marcate sui campi di tutto il mondo.

Può capitare da quando il calcio, da evento agonistico, si è trasformato in fenomeno mediatico. Fortunatamente, però, basta fare un giro su Internet per trovare molte di quelle prodezze: al termine di serpentine ubriacanti; dopo finte, tunnel e sombreri; con cannonate quasi da metà campo; di testa, dopo elevazioni prodigiose (come quella all’Italia nella finale dei Mondiali messicani del 1970).

Il fuoriclasse

Sul campo Pelé è stato molte cose. Il ragazzino prodigio, figlio d’arte cresciuto in una favela, che neppure 18enne, ai Mondiali svedesi del 1958, con Garrincha seppe imporre i ritmi coinvolgenti della Ginga (il passo base della capoeira applicato al calcio bailado) anche al rigore tattico del Ct Feola, trascinando il Brasile al titolo iridato fin lì tabù. Il simbolo del Santos, nel quale militò per quasi vent’anni, facendo incetta di titoli e trofei. Il campione maturo che guidò la sua Nazionale alla conquista definitiva della Coppa Rimet nel 1970, per lui la terza vittoria mondiale dopo quelle del 1958 e del 1962 (unico nella storia a esserci riuscito). L’ambasciatore del soccer negli Usa, quando negli anni Settanta, con Chinaglia, Beckenbauer e altri campioni giramondo, diede vita all’avventura miliardaria dei Cosmos. Saggiamente si tenne lontano dalla panchina: sarebbe stato troppo complicato trasmettere ad altri quello che a lui riusciva naturale.

Protagonista anche nella vita

Anche fuori dal campo Pelé è stato molte cose. Dirigente. Giornalista. Scrittore. Attore. Ambasciatore ufficioso del Brasile. Testimonial della lotta alla povertà, alla fame e alle malattie. Interlocutore di leader politici e religiosi. Sempre con quel sorriso a trentadue denti che manifestava la sua gioia di vivere dentro e attorno al calcio. Su di lui hanno scritto libri, composto canzoni, girato film. Il suo Paese oggi lo piange come un eroe nazionale, proclamando tre giorni di lutto. Il mondo lo celebra come un’icona.

Chi il più grande?

Al termine dei recenti Mondiali del Qatar si è accesa la disputa intorno a Messi e Maradona: chi dei due è il più grande? Uno di quei duelli creati ad arte dalla critica per alimentare il dibattito tra gli appassionati, ma che ha poca valenza tecnica. Qualcuno, sommessamente, ha suggerito di non dimenticarsi di Pelé, che stava spendendo i suoi ultimi giorni. Sicuramente è stato atleta più completo degli altri due, anche se, a differenza della coppia argentina, non si è misurato con il calcio europeo (l’Inter fu vicinissima ad acquistarlo alla fine degli anni Cinquanta). Ma il confronto tra fuoriclasse di epoche diverse resta improponibile. Certo Pelé – insieme al citato Meazza, a Di Stefano, a Crujff e allo stesso Maradona – è stato capace di far sognare una generazione. Non è poco, e probabilmente a lui va bene così.

Ps: John Huston, il regista di Fuga per la vittoria, ha raccontato che per la scena della rovesciata, immortalata dalle cineprese da sei inquadrature diverse, è bastato un solo ciak. Con O Rey «basta la prima».