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Fondo

«Federalismo solidale»: patto oltre i propri interessi

Il binomio scelto dalla Diocesi per lanciare una nuova fase della raccolta

Pino NARDI

7 Giugno 2010

Lo slogan già campeggia nelle vie di Milano sui cartelloni giganti. “Federalismo solidale” è il binomio scelto dalla Diocesi per lanciare una nuova fase del Fondo Famiglia-Lavoro. La raccolta dei contributi, iniziata un anno e mezzo fa, ha già sfondato gli 8 milioni di euro (8.027.054,21), quasi tutti già destinati a chi ha perso il lavoro (oltre 3800 famiglie) Ma da piazza Fontana arriva il segnale chiaro che il cammino prosegue, che la crisi si sta facendo se possibile più profonda, che le necessità sono ancora molte. E perciò l’appello a contribuire al Fondo prosegue incessantemente. Ne parliamo con monsignor Eros Monti, vicario episcopale per la Vita sociale.

È partita la nuova campagna per il Fondo: qual è il messaggio che si vuole lanciare?
Un primo messaggio è la conferma che il Fondo Famiglia-Lavoro, a un anno e mezzo dalla sua istituzione da parte del cardinale Tettamanzi, è realtà viva, diffusamente conosciuta dalle nostre comunità, anche se non da tutte allo stesso modo. Una realtà che soprattutto ha bisogno di essere di continuo sostenuta, rilanciata e per questo compresa nella sua interezza. Non soltanto nel suo valore di risposta mediante un contributo economico al disagio di famiglie rimaste prive della risorsa derivante dal lavoro, ma di formazione a una mentalità rinnovata, a una consapevolezza matura circa i sempre nuovi e rilevanti bisogni altrui. Questo mediante l’educazione a uno stile di vita sobrio, solidale, capace di porre non sé ma gli altri al centro della propria attenzione.

In che senso viene qui proposto il concetto di federalismo?
Federalismo proviene dal latino foedus che significa patto, alleanza. Come tale suggerisce già di per sé cooperazione, reciprocità tra soggetti differenti che abitano un determinato territorio in quanto orientati verso un fine comune, condiviso. “Federalismo solidale” fa emergere con ancora maggiore chiarezza l’esigenza che sul territorio, in tutte le sue articolazioni, si attivino legami sociali autentici. Vale a dire non soltanto funzionali, ma capaci di comunicare gratuità, di testimoniare disinteresse, a fronte della diffusa tentazione di chiudersi in sé stessi nella ricerca esclusiva del soddisfacimento dei propri interessi o del cercare risposta alle proprie paure, vere o indotte, verso l’altro.

Quindi l’invito a un salto culturale…
Esatto: “Federalismo solidale” dice un nuovo modo di pensare il nostro territorio. Quanto viene raccolto in un decanato, per esempio, può essere destinato a famiglie che abitano dall’altra parte della Diocesi, creando coesione al di là dei legami dettati dalle regole della sola prossimità fisica. Così come il Fondo presuppone e suscita al tempo stesso un lavoro “in rete”: sia orizzontalmente, tra parrocchie, Centri di ascolto Caritas, circoli Acli, ecc, sia anche verticalmente, mettendo in gioco soggetti che operano su differenti piani dell’articolazione ecclesiale della Diocesi, dalle unità di ascolto più capillari, i Distretti del Fondo, alle commissioni decanali incaricate di approfondire il discernimento sulle domande pervenute, all’inoltro presso il Comitato di gestione del Fondo incaricato di decidere sull’ammissione definitiva al contributo, a sua volta trasmesso alle persone interessate attraverso il proprio parroco. Questo, perché siano tenuti insieme una condivisione a raggio diocesano e la prossimità alle singole situazioni, così che anche la trasmissione del contributo offra nuove opportunità relazionali.

La campagna rivolta alle comunità cristiane è invece “Per ogni contributo una famiglia aiutata. Non fermiamoci”. Qual è stato finora l’apporto delle parrocchie e cosa chiedete per il futuro?
L’apporto delle comunità cristiane è stato notevole, anche perché non dobbiamo dimenticare che numerose parrocchie sono intervenute non soltanto contribuendo direttamente al Fondo, ma mediante proprie attività in risposta al bisogno delle famiglie in difficoltà per la perdita del lavoro. Così come non va trascurato, fra i molti altri, l’apporto degli oltre 400 volontari che hanno prestato la loro opera nei Distretti incaricati del primo ascolto delle famiglie in difficoltà. Occorre però anche rimarcare che la risposta delle comunità cristiane è stata molto diversificata: vi sono parrocchie e decanati che hanno dato molto, pur appartenendo in molti casi ad aree non economicamente favorite, e viceversa altri che sono rimasti nettamente al di sotto delle proprie potenzialità. È un dato che deve far riflettere soprattutto in questa fase, in cui il Fondo ha bisogno di una nuova boccata di ossigeno per poter continuare, anche a fronte dell’esaurirsi, in molti casi, del periodo di fruizione di diversi ammortizzatori sociali, primo fra tutti la Cassa integrazione.

L’impegno della Chiesa ambrosiana con il Fondo dimostra quanto la crisi colpisca duro. Quale sollecitazione emerge nei confronti delle istituzioni pubbliche?
La crisi continua tuttora a manifestare la sua gravità. Una realtà che richiede non soltanto di essere accuratamente monitorata, ma dalla quale occorre che emergano cambiamenti effettivi, per tutti. Il primo messaggio di questa crisi è: non possiamo proseguire così né in ambito economico o finanziario, né sul mercato del lavoro, né in ogni altro settore della vita sociale. Né possiamo limitarci ad attenderne la fine, quasi possa arrivare da sé, magari per poi ricadervi in altra forma tra alcuni anni. Credo inoltre a questo proposito che non si possa ragionare soltanto nei termini del “ciascuno faccia la propria parte”. Come minimo aggiungerei: purché si collabori in modo organico, condiviso, dal momento che la collaborazione, anche tra le istituzioni, non si realizza soltanto sulla base di un’accurata delimitazione dei rispettivi compiti, ma nel confronto, nel dialogo e nell’apporto costruttivo, continuativo, orientato al bene di tutti e non ad altri scopi. Credo che solo da un rinnovamento complessivo, dalle scelte personali e familiari a quelle istituzionali, possa nascere il “nuovo” che tutti attendiamo, e non soltanto un rimedio. È quell’orizzonte di novità verso il quale tutti possiamo camminare, nel segno della solidarietà.

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