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Web reputation, meglio prevenire che curare

Indagine sull’esperienza on line dei ragazzi tra gli 11 e i 18 anni: c’è prudenza riguardo la propria privacy, ma anche ricerca di amicizie non “verificate”. I rischi? Cyber-bullismo, sexting e abuso dei dati personali

di Stefania CECCHETTI

29 Giugno 2016

Fotografare la qualità dell’esperienza on line dei ragazzi tra gli 11 e i 18 anni: questo lo scopo della ricerca “Web Reputation e comportamenti rischiosi on line. L’esperienza dei giovani lombardi”, che il Corecom Lombardia ha commissionato a OssCom, il Centro di ricerca sui media e la comunicazione dell’Università Cattolica. La ricerca è stata presentata lunedì 27 giugno dal direttore di OssCom Piermarco Aroldi nel corso del convegno “Tutela dei Minori sul Web e Cyberbullismo – Work in progress – Strategie di intervento e soluzioni Istituzionali”, promosso dal Corecom.

Come dobbiamo intendere la web reputation nella vita di un ragazzo delle scuole medie o superiori? Secondo Aroldi è data da un insieme di informazioni: ciò che un ragazzo dice di sé sul proprio profilo, quanto gli altri possono raccogliere su di lui navigando in Rete, quanto gli altri possono scrivere o pubblicare di lui. Una materia con cui non si scherza, insomma, soprattutto perché, fa notare Aroldi, «ha a che fare con la definizione della personalità, che negli anni presi in esame è una questione fondamentale. Chi sono? Cosa mi piace? Che immagine voglio dare di me agli altri? Come mi vedono gli altri? Sono tutte domande che da sempre sono al centro della vita di un adolescente».

Certo, il tema è importante anche perché il fatto di crescere in “ambienti digitali” sempre più pervasivi, oltre a essere una grande opportunità per i ragazzi, intensifica e trasforma alcuni rischi di Internet, come il cyberbullismo e il sexting, cioè l’invio di messaggi, testi o immagini sessualmente espliciti.

Una prima confortante considerazione che emerge dai dati – basati su un campione di 500 casi, rappresentativi della popolazione lombarda tra gli 11 e i 18 anni utente di Internet – è che i ragazzi si dimostrano relativamente prudenti in fatto di privacy, nonostante la forte pressione sociale a esporsi. Parlando di social network, infatti, il 64% di loro dichiara di aver impostato il proprio profilo come privato, anziché pubblico. Allo stesso modo, mentre la maggior parte condivide informazioni come foto e video di sé (72%), nome e cognome (62%), età (58%) e scuola frequentata (50%), sono percentualmente pochi quelli che forniscono informazioni più rischiose come il numero di cellulare (21%) o l’indirizzo di casa (6%).

Tuttavia, sottolinea Aroldi, queste accortezze non bastano a limitare i rischi: nel corso dell’ultimo anno il 55% degli intervistati ha dichiarato di aver cercato nuovi amici sui social network e poco meno della metà (43%) ha ammesso di aver aggiunto alla propria lista di contatti persone che non avevano incontrato faccia a faccia, soprattutto “amici di amici”, talvolta inviando loro anche informazioni personali. Spesso queste imprudenze sono temperate da atteggiamenti “correttivi”, in genere in risposta a un rischio corso o a un danno subito: per esempio cancellare qualcuno dalla proprio lista amici (il 61% lo ha fatto negli ultimi 12 mesi), cancellare cose pubblicate in passato (42%), togliere il proprio nome da una foto in cui si è stati taggati (35%). Solo in alcuni casi vengono messi in atto comportamenti preventivi, come decidere di non pubblicare un contenuto considerato pericoloso per la propria immagine (36%).

I rischi più diffusi nell’era digitale sono il bullismo (29%), seguito dal sexting (23%) e dall’abuso dei dati personali, con percentuali variabili tra il 25 e il 3% a seconda delle sue diverse forme. In particolare, per quanto riguarda il bullismo, solo il 6% dichiara di essere stato vittima di atti classificabili come tali e di esserne stato turbato, il 13% riferisce di non aver sofferto troppo e il 10% di non esserne stato affatto turbato. Di contro, un confortante 71% dichiara invece di non essere mai incorso in episodi di bullismo. Da notare che il più diffuso è ancor il bullismo faccia-a-faccia, mentre per quanto riguarda i contenuti a sfondo sessuale, le piattaforme più pericolose sono Facebook (53% delle vittime) e WhatsApp (35%).

La ricerca, conclude Aroldi, si è soffermata anche sulle risposte sociali di fronte alle difficoltà: chiedono aiuto i ragazzi, se hanno problemi a gestire la propria immagine in rete? E a chi? «Gli adulti sono presenti – ha spiegato lo studioso -, ma in genere vengono interpellati dopo che il danno è fatto. In genere si tratta dei genitori (la mamma in più dell’80% dei casi) o di altri familiari. Il ricorso ad adulti rappresentanti di istituzioni è ancora troppo basso: i ragazzi chiedono aiuto ai loro insegnanti in meno del 30% dei casi».