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Intervista

Troppe donne vittime
di violenza domestica

Un fenomeno diffuso, anche in pieno centro a Milano, trasversale a tutti i ceti, età ed etnie. Parla suor Claudia Biondi dell’Area maltrattamento di Caritas Ambrosiana

di Luisa BOVE

22 Febbraio 2015
Suor Claudia Biondi

«La violenza domestica è un fenomeno che attraversa spesso la nostra città, le famiglie e le relazioni». A dirlo è suor Claudia Biondi, responsabile Area maltrattamento donne di Caritas Ambrosiana, che sabato 28 febbraio coordinerà un seminario a Milano. Lo scopo sarà quello di approfondire il tema del maltrattamento e della violenza presentando metodi e strumenti per aiutare le donne a uscirne. «Purtroppo è un fenomeno che rimane attuale, anche se la stampa – giustamente – non dà sempre risalto a queste situazioni. Nei giorni scorsi aprendo il sito della Polizia di Stato milanese ho letto due notizie: la prima, su uno stalker che è stato arrestato perché perseguitava la compagna e, l’altra, su una lite con l’arresto di un uomo che da anni maltrattava la moglie. Non so se è stato un caso, ma questo conferma che la violenza contro le donne è una realtà quotidiana».

Quando si parla di violenza domestica ci si riferisce solo alle donne o anche ai bambini?
Senz’altro si parla di entrambi nella misura in cui ci sono figli all’interno della famiglia e uno dei grandi problemi è anche quello della violenza assistita. Anche se non sono i figli in prima persona ad essere maltrattati, tuttavia subiscono una violenza psicologica e il fatto che vivano in un ambiente non sereno è comunque una forma di violenza nei loro confronti. Sono quindi soggetti deboli che subiscono un clima che non permette loro di crescere serenamente.

Esiste un identikit delle vittime e dei carnefici?
No, non c’è. Noi seguiamo situazioni che attraversano tutte le classi sociali, tutte le età e tutte le etnie. E ci sono anche moltissime italiane. Non è quindi un fenomeno che si colloca nella marginalità, ma nella normalità, anche del centro storico di Milano in cui vivono i benestanti. Non pensiamo solo alle periferie.

Quali sono le dimensioni di questo fenomeno in terra ambrosiana e in Lombardia?
Purtroppo non ci sono dati perché non esiste un osservatorio. E questo è molto grave, da anni lo denunciamo. Ma chi ha fatto un grande sforzo per mettere a punto uno strumento è stata la Provincia di Milano, insieme alla Bicocca e a un gruppo di associazioni (tra cui la Caritas ambrosiana, che da anni si occupa di maltrattamento e violenza). Purtroppo però Comune e Regione hanno ignorato il progetto e lo strumento è rimasto inutilizzato.

E voi come Caritas avete dati?
Non comprensivi di tutti, ma abbiamo i nostri dati interni perché ogni anno redigiamo un piccolo rapporto. Nel 2014 il nostro servizio ha raccolto 136 segnalazioni sulla violenza domestica che comprende 54 coppie italiane, 51 straniere e 12 miste (10 donne straniere con uomini italiani; 2 donne italiane con uomini stranieri). Poi abbiamo un altro dato importante che riguarda 13 ragazze sole con problemi con la famiglia di origine, diverse sono straniere per cui si apre il tema delle seconde generazioni, infine sei single.

È un problema anche la denuncia e la tutela delle donne?
Noi non chiediamo a una donna, che ha bisogno di essere accompagnata, di denunciare, perché esporsi è un segnale forte, però vogliamo che ci sia una presa di posizione. Ma se una donna si rivolge a un ente pubblico, come la Mangiagalli, da cui riceviamo diverse segnalazioni, parte subito una denuncia d’ufficio. Questo grazie alla nuova legge dell’agosto 2013 che facilita l’accusa della donna.

Perché le donne temono di denunciare?
Da una parte per tutelarsi, dall’altra per un’ambiguità che attraversa tutto il mondo della violenza domestica. L’ambiguità è dovuta al fatto che con il partner hanno una relazione di intimità, non è lo sconosciuto, per cui le donne rimangono molto legate affettivamente. Poi c’è anche la vergogna e l’idea del grande fallimento per non essere riuscite ad avere una relazione positiva. Molto spesso c’è un profondo senso di colpa da parte loro e dicono: “Sono io la responsabile”. È una dinamica frequente soprattutto quando le violenze perdurano per lungo tempo. All’inizio di settimana scorsa per esempio abbiamo accolto una donna di 73 anni.

Che cosa fa la Caritas ambrosiana per arginare questo fenomeno e soprattutto per assistere le vittime?
Svolgiamo un lavoro a livello culturale in termini di sensibilizzazione, di denuncia, di informazione e di formazione, come prossimo seminario che vuole offrire strumenti per conoscere il fenomeno. Accanto a questo lavoro culturale e pastorale con le comunità cristiane, la Caritas offre consulenza a tutti e un servizio di ascolto e accompagnamento diretto alle donne vittime di violenza attraverso due percorsi. Il primo, di ospitalità gratuita nelle strutture attraverso la rete di collaborazioni o in due appartamenti di Caritas. Il secondo è l’accompagnamento territoriale per le donne che non hanno bisogno di ospitalità, perché il marito o il compagno si è allontanato, oppure hanno risorse proprie nella famiglia di origine o da amici. Tutte vengono accompagnate per tornare a uno stato di benessere attraverso prese in carico e consulenze legali. La Caritas è comunque all’interno di una rete più grande, coordinata dal Comune di Milano che mette a disposizione una serie di servizi in convenzione e ultimamente anche con la Regione Lombardia che, per effetto della nuova legge, deve realizzare un piano di intervento attraverso gli enti territoriali a favore delle donne maltrattate.