Maggio 1974. Il mio primo viaggio in Terra Santa. Un gruppo di preti guidati da don Saldarini, futuro Arcivescovo di Torino. Un tour promozionale, ospiti del Ministero del Turismo Israeliano. Visitammo l’interno della Knesset, il kibbutz di Ghinossar e scavi archeologici. Naturalmente anche tutti i grandi Santuari Cristiani. Vi fu un incontro speciale alla Delegazione Apostolica (così era allora) sul Monte Scopus. Era ancora viva l’eco, dopo dieci anni, della visita di Paolo VI, e ho ben presente le poltrone della sala dove avvenne l’incontro tra il Papa e il Patriarca Atenagoras, inizio di un dialogo ecumenico che trova in quell’abbraccio fraterno ancor oggi la sua icona esemplare.
Io ho un certo “credito” con Montini. Ero alla vigilia della mia ordinazione sacerdotale, l’ultimo giorno di Seminario, prima degli Esercizi a Rho, il 21 giugno 1963. Noi Candidati ’63 (una sessantina) avevamo già preparato – come si usava allora – inviti e partecipazioni per l’ordinazione (28 giugno) e la prima Messa. E l’Arcivescovo se ne andò a Roma, proprio quel giorno eletto vescovo di Roma col nome di Paolo VI. La nostra ordinazione fu celebrata da Colombo, rettore di Venegono e vescovo ausiliare, destinato a succedere a Montini sulla Cattedra di Ambrogio.
Ma quel “credito” fu corrisposto in abbondanza, con l’aver suscitato in me un legame e una devozione che segnarono tutti i miei primi anni sacerdotali. Si era nel pieno clima del Concilio. Dopo le emozioni alla morte di Giovanni XXIII, si era in attesa della ripresa dell’assemblea. Straordinario fu il discorso del Papa all’apertura del Secondo Periodo, con l’incentrare tutto attorno alla Persona di Cristo. Poi venne la promulgazione del primo Documento, sulla Liturgia. Abituato agli studi in Facoltà all’uso del “Denzinger”, lessi quel Documento nel testo latino come leggessi un testo del Concilio di Nicea!
Poi venne la sorpresa del primo Papa in Terra Santa nel gennaio ‘64. L’abbiamo vissuto tutti come compagni di viaggio, con le prime immagini televisive (in bianco e nero), partecipi delle sue venerazioni nei Luoghi Santi visitati, e trepidanti per i pericoli corsi (di schiacciamento) tra i vicoli della Città Vecchia, allora tutta in mano ai “palestinesi”. Impressionante fu l’intervento al Calvario, dove Paolo VI trascinò la Chiesa tutta a un atto di responsabilità e pentimento: «Siamo qui, Signore Gesù, siamo venuti come colpevoli che tornano al luogo del loro delitto. Siamo venuti per riconoscere il misterioso rapporto tra i nostri peccati e la tua Passione. Siamo venuti per batterci il petto e domandarti perdono, per implorare la tua misericordia».
Da allora il pellegrinaggio in Terra Santa divenne un evento di fede personale. L’accento prima era piuttosto storico-archeologico. Poi divenne una vera proposta di annuncio di fede. Lo faccio da quarant’anni, quasi, questo lavoro di guida biblica alle radici della nostra fede, e finora mi è sempre riuscito come un autentico “corso di Esercizi spirituali” per persone alla ricerca e alla revisione della propria esperienza di fede, in un ambiente e in una disponibilità spirituale che lascia semi fecondi di rinnovamento.
La riuscita di un pellegrinaggio dipende in parte dal modo in cui è impostato e dalla guida – ben diverso se un sacerdote pastore d’anime o una guida locale laica anche cristiana (capitano gruppi addirittura con guide ebraiche!). Ma molto dipende dalla sensibilità e preparazione al santo Viaggio. Oggi – in un viaggio divenuto di massa – trovo più faticoso portare il pellegrino a una esperienza seria di ascolto e di preghiera. Parecchi arrivano impreparati, quasi a fare un viaggio turistico. Questo mi scoraggia un po’. O forse mi fa sentire… d’altri tempi, cresciuti in un clima più serio e personale nei confronti della ricerca di fede. Non per rinunciare, ma per chiedere alla nuove guide più pazienza e genialità di linguaggi, senza però perdere la passione dell’annuncio, specifico e magari un po’ profetico.