E’ stato pubblicato nell’ottobre scorso, a cura di Cittadella Editrice, il saggio di Sergio Cerastico John Henry Newman, l’università, i laici.
Il saggio vuole essere un’opera divulgativa che faccia conoscere anche ai non specialisti alcuni aspetti del pensiero del cardinale inglese e la loro applicazione ad alcuni problemi che anche oggi si presentano.
Il saggio inizia prendendo in esame il progetto di Newman di costituire l’Università cattolica d’Irlanda. Con questo progetto, che troviamo descritto nell’opera L’idea di università (1852), il prete oratoriano si proponeva di tracciare l’abbozzo di un disegno educativo completo, disegno consistente nell’indicare ai cristiani le linee essenziali dirette a conservare le loro convinzioni religiose e teologiche tradizionali di fronte alla crescita dell’indifferentismo e dell’ateismo. Un altro obiettivo di Newman è stato quello di affermare, contro il crescente prestigio della scienza, l’importanza della teologia nell’Università, per il fatto che la dottrina religiosa è una conoscenza in senso pieno; la teologia ha quindi il diritto di pretendere un ruolo nel mondo accademico.
L’idea di Universitàè stata pensata con l’obiettivo pratico di istituire un’Università cattolica in Irlanda su suggerimento del Papa e per incarico dei vescovi irlandesi, ma Newman ha pensato il rapporto fede-ragione ben al di là degli obiettivi pratici. La sua originalità sta nel fatto di aver difeso la razionalità della fede senza ricorrere alle argomentazioni degli apologisti, dei razionalisti-fideisti e dei semi-razionalisti del suo tempo. Questa sua difesa della razionalità della fede è solo accennata ne L’idea della quale costituisce una sorta di sottofondo; è stata anticipata dall’autore, in modo non organico, in opere precedenti, ma è stata esposta in modo sistematico ne La grammatica dell’assenso (1870), opera che chiarisce il pensiero di Newman sull’argomento e che costituisce la giustificazione teorica del suo progetto. La concezione contenuta ne La grammatica è uno degli elementi che costituiscono la motivazione per l’obiettivo di creare una Università cattolica finalizzata a formare laici cattolici adulti e per la creazione di altre istituzioni educative.
Ne la Grammatica dell’assenso sono espresse le radici teologiche della visione di Newman: il processo che porta a «sapere» la Rivelazione, la teologia della Rivelazione, l’idea di Tradizione, il ruolo dello Spirito santo.
Ma il tema sul quale è doveroso porre l’accento è la teoria della conoscenza del prete oratoriano, conoscenza che porta alla certezza, fede umana che permette di porre salde fondamenta alla fede teologale. Newman ha affrontato il tema della conoscenza che porta alla certezza intendendo per certezza «il più alto livello di verità concesso all’uomo nel suo cammino di conoscenza».
E’ cosa nota che ci sono diverse modalità per arrivare alla conoscenza (al sapere) che il saggio mette in particolare evidenza.
La modalità corrente è quella della conoscenza scientifica che si ottiene attraverso due metodi: può essere ottenuta attraverso la deduzione logica da verità a priori o viene derivata a posteriori per induzione dall’esperienza sensibile, o può essere ottenuta seguendo entrambi i metodi. Anche oggi la scienza procede con questi metodi e si può constatare che la maggior parte degli uomini di cultura considera certe e razionali le proposizioni della scienza, e considera le altre proposizioni delle semplici opinioni prive di razionalità.
Ma secondo Newman esistono altre certezze che noi accettiamo come tali e che non possiamo provare né attraverso la logica, né attraverso l’induzione, ma che sono del tutto razionali. Questo è particolarmente vero per le proposizioni riguardanti le più importanti questioni della vita. Per dare un assenso incondizionato a queste proposizioni, per considerarle certe, Newman ha proposto il suo principio essenziale: la convergenza di probabilità indipendenti e convergenti, orientate tutte nella medesima direzione, moltiplica l’evidenza e porta alla certezza. Il futuro cardinale considera l’uomo nella sua interezza e, in polemica con il razionalismo, sostiene che la verità, ogni verità vive in mezzo agli uomini e, per riceverla nella sua autenticità, occorre una preparazione in cui viene chiamato in causa tutto il nostro essere intellettuale e morale; propone quindi una razionalità più ampia, più ricca e più complessa rispetto alle riduzioni moderne. Tutta la natura umana deve essere presa in considerazione nel processo conoscitivo: passioni, affetti, aspirazioni, coscienza, volontà e, da ultimo, l’intelletto. Ciò che è ragionevole è più grande e più ampio di ciò che è usualmente suggerito dal termine ragione.
Newman si riferisce costantemente all’uomo intero: corpo e anima, passioni e intelletto. Questa affermazione sta alla base del significato della sua idea di ragione e del rapporto che essa stringe con la fede, fede, che a sua volta, si rapporta alla Rivelazione ed è animata dall’azione permanente dello Spirito. Anche nell’assenso di fede non si danno dimostrazioni cogenti di tipo matematico o fisico, ma si dà quel cumulo di probabilità che rende l’assenso ragionevole, se non apodittico.
Per Newman il sapere della fede non può essere riservato ai teologi, a pochi specialisti; a tutti i livelli esso non può che essere frutto della coltivazione della mente. La ragione correttamente esercitata porta alla fede e porta alla perfezione dell’educazione.
Da queste convinzioni discendono le considerazioni di Newman sul compito educativo della Chiesa che può essere così sintetizzato: essere presente in tutti gli spazi educativi (e in particolare all’interno delle Università) per la custodia e la difesa della verità rivelata. Tale compito è di spettanza di tutta la Chiesa, ma, in modo particolare, è di spettanza del Magistero. La fede viene trasmessa attraverso la Tradizione che è affidata a tutta la Chiesa nelle sue varie componenti, ma il dono di discernere, di definire e di promulgare una parte della Tradizione risiede soltanto nell’Ecclesia docens. Newman non ha mai espresso dubbi su questa responsabilità ultima della Gerarchia, questo anche nei momenti più difficili, anche quando una parte della Gerarchia non si è mostrata a lui favorevole, ha bocciato i suoi progetti e ha espresso una manifesta ostilità nei suoi confronti.
Nel compito educativo troviamo tuttavia un elemento di novità: la funzione dei laici considerati da Newman attori chiamati a svolgere, attraverso la testimonianza, basata su una buona competenza dottrinale, la missione profetica nel mondo e nelle sue strutture. La preparazione teologica deve quindi aiutare il cristiano ordinario nel compito educativo che viene da lui assolto attraverso la testimonianza di una vita cristianamente vissuta in tutti i suoi aspetti.
Per dare una valutazione del guadagno, per i cristiani di oggi, derivante dal progetto di Newman e dalla sua giustificazione teorica, possono essere fatte alcune considerazioni che l’autore del saggio mette in evidenza derivando poi da esse proposte concrete.
Una prima considerazione riguarda la ricezione odierna della proposta di Newman ed un raffronto di essa con l’attuale, variegata visione circa il tema del sapere.
L’argomento che ha attirato maggiormente l’attenzione dei commentatori dei nostri giorni è quello della formazione e appare singolare il fatto che le critiche, positive o negative, considerino L’idea di università non solo nel suo contesto storico di metà ottocento, ma la considerino specialmente in rapporto alla situazione attuale delle Università per valutare la validità delle sue proposte.
L’idea oggi diffusa di considerare la funzione dell’Università sotto un profilo utilitaristico e commerciale ha suscitato le più forti opposizioni al pensiero di Newman. Alcuni commentatori hanno però osservato che si può certamente riconoscere che le Università, essendo creazioni sociali, dovrebbero dare risposta ai bisogni della società, ma sostenere che lo scopo dell’insegnamento universitario sia, oltre a tutto il resto, la formazione delle persone, come Newman afferma, rappresenta un’idea più che valida e unificante di tutte le forme di insegnamento. La formazione esige nelle Università la presenza di un sapere che vada oltre la preparazione specialistica. Le persone destinate ad assumere mansioni di responsabilità devono avere un’ampia formazione culturale che le aiuti ad affrontare in modo sistematico i problemi complessi che si possono presentare.
L’attuale visione circa il tema del sapere confrontata con la visione di Newman comporta necessariamente la presa in esame di alcuni documenti magisteriali: il Concilio Vaticano II e l’enciclica Fides et ratio (1998). E’ anche utile considerare la lectio magistralis tenuta da Papa Benedetto XVI presso l’Università di Ratisbona il 12 settembre 2006. Questi documenti, con sottolineature diverse, esprimono il desiderio di superare la divisione tra pensiero cattolico e pensiero che si qualifica come non cristiano, affermando che la fede e la ragione sono fatte per collaborare. Frequenti sono le assonanze dei documenti magisteriali con il pensiero di Newman.
Esiste anche una assonanza singolare tra il pensiero del cardinale inglese e quello espresso nella lectio magistralis di Papa Benedetto XVI. Con la lectio di Ratisbona viene promosso quell’allargamento dell’uso della ragione che Newman ha teorizzato nella Grammatica dell’assenso.
E’ noto il desiderio della Gerarchia cattolica di superare la divisione tra sapere della fede e cultura non cristiana, ma appare lecito cercare di dare una risposta alla domanda se esista una cultura contrapposta alle posizioni cattoliche, ma disposta a trasformare la contrapposizione in dialogo. Difficile appare la collaborazione con taluni rappresentanti della cultura corrente che negano addirittura all’uomo l’universale capacità di verità. Difficile è anche dialogare con uomini di scienza che considerano in modo sprezzante la fede e rivendicano alla cultura scientifica il monopolio della verità, monopolio che la cultura scientifica non possiede.
C’è anche una piccola minoranza di scienziati autorevoli i quali non escludono l’ipotesi di Dio. Questi rappresentanti della scienza affermano, in assonanza con il pensiero di Newman, che è possibile credere nel disegno provvidenziale di Dio nella creazione, senza farne una teoria scientifica; questo però richiede che nessuna teoria scientifica voglia assurgere a spiegazione ultima della realtà, ciò che ne farebbe una pseudo-metafisica, o, addirittura, una pseudo-religione.
Si tratta tuttavia di voci isolate che vengono quasi sommerse dalle voci di altri rappresentanti della scienza e da rappresentanti del pensiero filosofico che affermano che il sapere deve essere compreso entro lo spazio della logica e dell’esperienza e quindi entro lo spazio della finitezza.
A queste voci si contrappone la posizione di Newman il quale concede che esista l’orizzonte mondano che può essere esaminato realisticamente senza farlo oggetto di affermazioni universalizzanti prive di contenuti reali; da questa analisi però scaturisce che tale orizzonte rimanda ad altro da sé per la sua stessa esistenza.
Malgrado i tentativi di dialogo provenienti dal Magistero e dalla teologia cristiana, la cultura corrente si colloca frequentemente in radicale opposizione alla fede e procede su strade che, progressivamente e quasi inavvertitamente, tolgono spazio alla fede seguendo quel processo che Newman, con tanto calore ha colto e denunciato e che appare un guadagno certo del suo pensiero. Ha messo infatti in evidenza che se si toglie una scienza (in particolare il sapere della fede) dal circolo del conoscere, non è possibile tenere vuoto il suo posto. Le altre scienze si inseriscono dove non hanno alcun diritto e insegnano dove non hanno alcuna missione per insegnare.
Ma come è possibile tratteggiare oggi un modello di Università cattolica che si ispiri al pensiero di Newman?
L’autore del saggio precisa che è necessario rispondere a una domanda previa che riveste una certa importanza: le Università cattoliche attuali assolvono il loro compito educativo in modo conforme al modello newmaniano? Le considerazioni dell’autore del saggio sono limitate all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano che, con le sue varie diramazioni e le sue quattordici facoltà può essere considerata esempio eloquente. Secondo fonti autorevoli, sembra che in questa Università il sapere teologico non abbia un posto significativo, che fra gli studenti siano facilmente ravvisabili robuste carenze di cultura biblica, che i docenti di Introduzione alla teologia vivano a latere della vita universitaria e del dibattito intellettuale. Si può ricordare il necessario carattere formativo dell’Università contraddistinto dalla newmaniana atmosfera universitaria, quell’atmosfera che si crea insegnando le scienze (scienze logico-matematiche, scienze sperimentali della natura, scienze umane) sempre con il rimando al loro significato. In una Università cattolica si crea l’atmosfera quando ogni docente propone il suo insegnamento specialistico rimandando al suo significato che non può essere suggerito da altro che dal sapere della fede. Lo scopo dell’Università Cattolica non è quindi solo quello di trasmettere conoscenza tecnica, ma anche di formare persone che vogliano e sappiano usare le loro competenze in una prospettiva cattolica.
Ma come, attraverso un’Università cattolica e attraverso altre iniziative, la Chiesa può formare cristiani sul tipo di quelli pensati da Newman? E’ l’ultimo problema preso in considerazione dall’autore del saggio.
E’ facilmente riscontrabile la situazione di minoranza in cui si trovano oggi i cristiani, minoranza numerica di fronte a una gran massa di indifferenti e di agnostici; in tale situazione l’evangelizzazione diventa la questione più importante. A partire dal concilio Vaticano II questo tema ha costituito l’interesse prioritario della Chiesa.
Affinché l’annuncio della Chiesa abbia efficacia, è necessaria quindi un’attiva presenza della Chiesa anche nei luoghi dove si produce cultura: nelle scuole e nelle Università.
La situazione attuale dell’insegnamento della religione cattolica[1] nelle scuole secondarie di primo e secondo grado (con frequenza a carattere opzionale) non appare soddisfacente sulla base del pensiero di Newman.
Anche a livello universitario statale la situazione dell’insegnamento della teologia cattolica presenta aspetti poco incoraggianti. Dal 1873 la teologia non ha più trovato spazio nelle Università statali; l’insegnamento teologico è stato confinato, fino al periodo successivo al Vaticano II, nei seminari e nelle Facoltà teologiche ecclesiastiche con la conseguenza di escludere i laici da tale insegnamento. Ai laici il sapere della fede è arrivato, per lungo tempo, attraverso le parrocchie con risultati non sempre adeguati, certamente ad un livello inferiore a quello degli altri saperi insegnati nelle Università.
Il nuovo ordinamento universitario statale sembra aver introdotto qualche timida apertura. Nelle lauree specialistiche (secondo biennio) di alcune Università esiste una classe di laurea specifica in Scienze delle religioni. E’ da osservare però che nel processo di studi religiosi presso le Università statali non si ravvisa una sia pur minima traccia di presenza della Chiesa cattolica. Anche il reclutamento dei docenti di materie religiose in queste Università segue le stesse norme previste per la selezione dei docenti delle altre discipline. Sarebbe quindi fortemente auspicabile che le Facoltà ecclesiastiche concordassero opportune forme di riconoscimento dei titoli di studio da loro rilasciati ai fini dell’immissione dei docenti nei ruoli universitari. E’ noto che gli sbocchi professionali per i teologi laici che hanno effettuato i loro studi presso le Facoltà teologiche ecclesiastiche sono praticamente inesistenti. Nel Discorso che avrebbe pronunciato durante la visita all’Unversità La Sapienza di Roma il 16 gennaio 2008, Benedetto XVI ha scritto che il compito dell’Università è quello della ricerca della verità, e che, nello svolgimento di tale compito, la teologia, il sapere della fede può ricoprire un ruolo di primaria importanza. Si può osservare che, per ricoprire tale ruolo, il sapere della fede deve essere però presente. E’ quindi auspicabile che la teologia torni ad essere di casa nelle Università laiche come avviene, per esempio, in Germania.
Nella situazione sopra accennata appare del tutto giustificata la preoccupazione di Newman circa la preparazione teologica dei laici. E’ necessario riferire quanto il prete oratoriano ha scritto nel 1851: «Voglio un laicato intelligente e ben istruito, che allarghi le sue conoscenze, che coltivi la ragione, che impari a vedere quali siano i fondamenti e i principi del cattolicesimo».
All’autore del saggio appare quasi impossibile realizzare un programma ambizioso come quello così delineato. Però la strada tracciata da Newman non sembra avere alternative: i laici devono essere formati teologicamente per evitare che siano travolti dalla cultura antireligiosa corrente. E’ doveroso ricordare che i laici cristiani, che vivono immersi, più dei sacerdoti e dei religiosi, nelle realtà temporali, sono costantemente esposti agli attacchi dei non credenti. La formazione teologica ordinaria in uso presso le parrocchie non sempre si rivela sufficiente per creare cristiani capaci di rendere ragione.
L’autore ritiene che sarebbero quindi utili i tentativi di migliorare lo studio della religione nelle scuole primarie e secondarie e quello di reintrodurre la teologia nella Università statali, ma, nella situazione attuale, risulta fondamentale il ruolo delle Università cattoliche come luoghi privilegiati per la formazione autenticamente cristiana dei laici. La figura del cristiano che Newman ha illustrato può realizzarsi nelle varie strutture ecclesiastiche, ma il compito di formare uomini e donne «educati alla verità per poter educare gli altri alla verità» e capaci di dialogare con la cultura non cristiana deve essere necessariamente affidato a qualificate Università cattoliche.
La conclusione dell’autore è così formulata: la strada proposta da Newman, anche se non del tutto facile, sembra essere percorribile ed efficace; Newman suggerisce in definitiva: il forte impegno per la formazione dei cristiani laici a tutti i livelli, il ritorno delle discipline teologiche nelle Università laiche, la qualificazione decisamente cattolica e la diffusione delle Università cattoliche.
Si tratta di grossi problemi aperti; l’autore del saggio, accettando e facendo proprie le proposte di Newman, avrebbe la pretesa di fornire un piccolo contributo per avviare a soluzione questi problemi.
Sergio Cerastico, laureato nei verdi anni in Economia e Commercio presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e dopo una lunga esperienza lavorativa quale dirigente d’Azienda industriale, si è dedicato in tempi più recenti alla teologia frequentando la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano e ottenendo i gradi accademici fino al Dottorato in Teologia sistematica. Facendo propria la convinzione di Newman secondo la quale la fede è un sapere che deve essere il più possibile coltivato e diffuso, tiene corsi di Teologia Sistematica presso alcune Università della terza età
[1] Con il termine «religione» Newman intende la conoscenza di Dio, della sua volontà e dei doveri che l’uomo ha verso di Lui.