«Il Vaticano II è stato una tappa singolare e decisiva dell’avanzare della Chiesa lungo la storia, un provvidenziale balzo innanzi». Il cardinale Angelo Scola ha aperto i lavori del convegno su «Il Concilio Ecumenico Vaticano II alla luce degli archivi dei Padri conciliari» promosso in Vaticano per iniziativa del Pontificio Comitato di Scienze Storiche in collaborazione con la Pontificia Università Lateranense, ponendo l’accento sulla «necessità di un’ermeneutica adeguata della storia» per una lettura anche limitata al tempo che va dai suoi albori fino all’apertura.
Nella sua prolusione preceduta dall’indirizzo di saluto del presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche Bernard Ardura, l’arcivescovo ha citato più volte la “Lumen Gentium” nelle parole finali in cui si mette in evidenza «l’inscindibile unità tra l’origine trinitaria della Chiesa e il suo essere soggetto storico». Il pellegrinaggio della Chiesa nella storia, secondo il porporato, «non può compiersi senza la dinamica della ‘riforma’», che «è legata all’approfondirsi dell’autocoscienza e della santità ecclesiali» e «mette in evidenza il primato della fede».
Soffermandosi in particolare sulla categoria di “riforma”, il cardinale Scola ha aggiunto che «supera le false problematiche della continuità e della discontinuità» ed evidenzia il legame tra il Concilio e l’Anno della Fede voluto da Papa Benedetto XVI. In questo contesto, si concretizzano anche le categorie di aggiornamento e di rinnovamento utilizzate da Giovanni XXIII e da Paolo VI.
Per il cardinale, «la categoria di riforma continua, al di là di eventuali comprensioni riduttive del suo significato, ad essere quella più conveniente per leggere la natura dell’evento conciliare e per una adeguata ermeneutica del suo corpus nell’ottica della pastoralità». In particolare, ha aggiunto rivolgendosi ad un attento uditorio, «la categoria della riforma mette in evidenza il primato della fede poiché la fede stessa, in tutta la sua grandezza e ampiezza, è sempre la riforma ecclesiale di cui noi abbiamo bisogno». Ed è infatti questa, per l’arcivescovo, la prospettiva su cui basarsi per affrontare correttamente il processo di recezione del Vaticano II, «che è parte integrante dell’essenziale compito missionario della Chiesa, cioè del suo porsi nella storia come sacramento universale di salvezza».
A proposito dell’indole pastorale del Concilio, di cui ci si appresta a commemorare i cinquant’anni dall’apertura dei lavori, il porporato ha sottolineato che «rappresenta il novum del Vaticano II, se intesa nella sua pienezza che va dall’evento al corpus dottrinale. I suoi benefici effetti sono già ben visibili nella storia della Chiesa». Anche se, «la sua recezione, ancora in atto, continua ad esigere dai cristiani una risposta libera e generosa alla chiamata di Dio che si attesta nella trama storica di circostanze e di rapporti».
Nella sua riflessione il cardinale ha infine ricordato che «l’indole pastorale del Concilio, lungi dal depotenziare la portata del Vaticano II per la Chiesa e l’importanza del suo insegnamento dottrinale, la rafforza. E lo fa proprio perché mostra come dalla considerazione della missione della Chiesa scaturisca la possibilità di una più adeguata comprensione della stessa rivelazione cristiana». Per questo, «l’indole pastorale del Concilio ne esalta tutta la portata dottrinale».