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10 ottobre

Salute mentale: una “presa in carico”
evangelica nella comunità

Il messaggio del cardinale Scola per la XXII Giornata mondiale: «Accogliamo questa sofferenza»

5 Ottobre 2014

La «presa in carico» della persona da parte della comunità con uno stile evangelico è l’aspetto su cui il cardinale Angelo Scola si sofferma nel suo messaggio per la XXII Giornata mondiale della salute mentale, in programma venerdì 10 ottobre (in allegato nel box a sinistra il testo integrale). Scrive l’Arcivescovo: «L’accoglienza di questa sofferenza nelle nostre comunità», benché importante, è «tutt’altro che scontata poiché, quando si entra in contatto con un malato mentale, spesso prevale la tentazione di prenderne le distanze»; e invece è «occasione per crescere nella carità» e per riflettere su «domande profonde».

Scola sottolinea come «accompagnare la persona malata nel suo percorso di cura» significa «crescere come persone, come società civile e comunità ecclesiale». E questo perché il principio della cura non risiede unicamente «nella clinica, nella diagnosi o nella relativa terapia», ma è «accompagnamento, prossimità che si manifesta in modo privilegiato nelle situazioni di malattia e di sofferenza». Un accompagnamento, quindi, «possibile a tutti, anche a chi è privo di competenze mediche», dato che prendersi cura dell’altro non è una semplice tecnica, ma «una relazione umana nella quale mettersi in gioco». A volte questa relazione è «l’unica possibilità» per restituire l’altro «alla sua dignità evitando così di ridurlo alla sua malattia», perché «contrasta la tendenza allo scoraggiamento che si affaccia quando gli sforzi non producono i miglioramenti sperati, quando è sempre più faticoso tollerare la frustrazione delle ricadute, quando avanza il rischio di convincersi che la malattia mentale non meriti alcuna fatica perché creduta inguaribile e immodificabile». Occorre dunque «guardare oltre i risultati immediati», per intuire come il soggetto «che ci provoca con la sua malattia» ci offre «l’occasione preziosa per fare nella nostra vita un lavoro di purificazione delle motivazioni e dei desideri, uscendone più maturi e ricchi in umanità».

Altro aspetto che il Cardinale evidenzia è che «non si può ridurre la persona al solo livello biologico». «Troppo spesso – denuncia Scola – si è preoccupati di guarire la malattia», scordando la persona «di cui prendersi cura». «Vorremmo trovare la persona al centro della cura, considerata in quanto tale prima che come paziente», è l’auspicio dell’Arcivescovo, che incoraggia «una conversione», una «trasformazione di orizzonte che ci permette di leggere la vita umana in una dimensione più appropriata senza riduzionismi indebiti, consapevoli dell’illusorietà della convinzione che, grazie al potere scientifico e tecnologico, si potrà, in un prossimo futuro, far tacere ed eliminare il dolore e la sofferenza umana».

Nel percorso di accompagnamento indicato, la comunità diventa allora, oltre che «luogo del prendersi cura», anche «promotrice di cure», «spazio relazionale nel quale sviluppare una cultura della solidarietà». Occorre quindi «un’azione di sensibilizzazione e di formazione» per sconfiggere pregiudizi quali «il ritenere che malattia mentale sia sinonimo di pericolosità sociale» e «per diffondere un atteggiamento accogliente» verso chi porta tale disagio. Una cura che passa attraverso «le reti familiari, amicali, di vicinato», e che favorisce il benessere non solo della persona malata, «ma della comunità intera, adoperandosi per l’inclusione sociale, il miglioramento dei rapporti interpersonali, il sostegno all’abitare, al lavoro e a un impiego soddisfacente del tempo libero».

Sulle sfide da affrontare per essere realmente vicini a persone «che ci chiedono di essere riconosciute nella loro dignità», Scola indica quella di «farsi promotori di politiche della salute attente a tutte le fasce di età, capaci di garantire la qualità e la continuità della cura nel rispetto dei diritti delle persone con disturbi mentali», e quella di «accompagnare i malati mentali nel percorso di ri-definizione della propria vita», alla ricerca di un senso «che può essere trovato grazie a una lettura della propria esistenza in un orizzonte cristiano capace di ri-donare significato anche gli eventi dolorosi della propria vita».