Franz-Magnis Suseno, gesuita tedesco che insegna filosofia a Giacarta da decenni; monsignor Paul Hinder, svizzero, che è vicario apostolico per l’Arabia del Sud; Majdi Dajjat, laureato in economia, sposato con figli, che è uno dei dirigenti dell’Università di Madaba in Giordania; José Andrés Gallego, professore di Storia a Madrid; Stratford Caldecott che insegna filosofia a Oxford; Malika Zeghal, tunisina, musulmana, che insegna ad Harvard… Sono solo alcuni dei volti della rete internazionale di Oasis, ed è partendo dal loro impegno che è possibile capire chi è Oasis.
Infatti la Fondazione culturale internazionale – creata dal cardinale Scola quando era Patriarca di Venezia e da lui tuttora presieduta, per promuovere la conoscenza reciproca e l’incontro tra cristiani e musulmani – si propone prima di tutto come un “soggetto plurale”, una rete di persone che, a partire dalle domande poste dalle circostanze storiche anche più scottanti, condivide esperienze e analisi per contribuire a costruire una vita buona personale e comunitaria, un passo dopo l’altro.
Per Oasis l’incontro e la comunicazione autentica tra persone di diversa fede e cultura sono possibili. Anzi, il fatto che ciascuno sia libero di portare il suo contributo nello spazio pubblico, anche a partire da una chiara personale appartenenza religiosa, è un aspetto positivo, un dono che può giovare al bene di tutti. Certo, sempre a patto che questo contributo sia proposto, non imposto, quindi privo di tentazioni egemoniche.
I protagonisti di Oasis operano concretamente attraverso la pubblicazione della rivista semestrale cartacea in quattro edizioni in lingue diverse (italiano; inglese-arabo; francese-arabo; inglese-urdu), la newsletter online (in cinque lingue diverse), due collane di libri (una scientifica, una divulgativa), il sito internet e l’organizzazione di eventi internazionali. Strumenti che nel tempo sono cresciuti, accolgono voci ed esperienze provenienti da tutto il mondo ed entrano nel dibattito culturale che scaturisce intorno all’attualità (i fermenti connessi alle rivolte arabe o alla crisi economica internazionale…) per lasciare emergere tutta l’ampiezza della provocazione in essi contenuta. Una provocazione che si sta dimostrando rivolta, pur in termini diversi, a chi vive sia in Oriente che in Occidente, una domanda che appare sottesa al dibattito pubblico: «Che uomo vuole essere l’uomo del terzo millennio?».
Negli anni alcune delle categorie introdotte da Oasis, come «meticciato di civiltà e culture», oppure la «rilevanza culturale del Cristianesimo per l’Islam e viceversa» si stanno dimostrando utili a leggere i processi storici in atto e ad aprire un confronto a tutto campo con chi è interessato a lasciarsi interpellare. E in questo continuo lavoro di tessitura di relazioni tra Est e Ovest, Sud e Nord del pianeta, anche le recenti esperienze a Tunisi, Beirut e Londra, sembrano confermare l’originalità e “praticità” del metodo di Oasis e dei suoi tre punti chiave: la comunione, per favorire la ricerca di un giudizio comune; la testimonianza, intesa in senso forte come unica modalità adeguata di rapporto con la Verità; l’universalità come orizzonte ampio nel quale situare analisi e proposte.