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Milano

Nella casa confiscata alla mafia
oggi vivono gli anziani soli

Nell’appartamento un tempo occupato dall’affiliato a una cosca la Comunità di Sant’Egidio ha realizzato un progetto di coabitazione alternativo al ricovero in istituto

di Veronica TODARO

27 Ottobre 2013

Il 15 novembre “Viva gli anziani!”, la casa della Comunità di Sant’Egidio in via Mario Bianco 20 a Milano, compirà due anni. Sono infatti trascorsi 24 mesi dal taglio del nastro dell’appartamento confiscato diversi anni fa alla mafia, che oggi offre a quattro anziani un’alternativa al ricovero in istituto. Di proprietà del Comune di Milano, la casa è stata concessa dallo stesso ente in comodato per quindici anni rinnovabili alla Comunità di Sant’Egidio Milano Onlus per la realizzazione del progetto di coabitazione per anziani fragili. «Si tratta di un grosso appartamento», spiega Giorgio Del Zanna, presidente della Comunità di Sant’Egidio di Milano «in cui viveva la famiglia di un uomo affiliato a una cosca mafiosa. Oggi ci vivono tre donne e un uomo ultraottantenni».

Nell’appartamento, al piano rialzato di una palazzina degli anni Venti in zona Lambrate, sono stati realizzati alcuni interventi di ristrutturazione e adeguamento in base alle esigenze di chi ci vive. «La casa famiglia» continua il presidente «nasce come alternativa al ricovero in istituto e all’assistenza domiciliare e vuole essere un modello in una città in cui la solitudine degli anziani sembra la norma: vivere insieme per condividere difficoltà quotidiane, spese e amicizia può essere la chiave per cambiare la vecchiaia di tanti».

La Comunità di Sant’Egidio a Milano da oltre 20 anni offre consulenza, orientamento e aiuto concreto per consentire agli anziani di continuare a vivere come e dove desiderano. Da qui il progetto della casa “Viva gli anziani”: un’occasione per mantenere una soddisfacente vita di relazione, per contrastare solitudine e isolamento, per valorizzare le proprie risorse e mantenere l’autonomia, per affrontare insieme le spese, creare nuove relazioni sociali, combattere la solitudine, in una dimensione domestica “protetta”, monitorata e supervisionata.

La storia stessa degli ospiti conferma la riuscita del processo. una di loro, nonostante i suoi 91 anni, è riuscita a riprendersi da una brutta frattura al femore e a mantenere la sua parziale autonomia, tanto da non rinunciare a vivere in casa. Anche M.B. – l’ultima arrivata, ma anche la più anziana con i suoi 96 anni appena compiuti – è approdata alla casa da una Rsa e ha ricominciato in breve tempo a camminare, parlare, intessere relazioni nuove con gli ospiti e i volontari, e «anche a farsi valere» dice Riccardo Mauri, responsabile della casa di via Mario Bianco, «testimoniando così che quando senti di esistere per gli altri trovi anche la forza di vivere. I punti di forza del progetto sono proprio questi: non una casa protetta, non una piccola Rsa, ma una vera casa dove vivere insieme come a casa propria; la sostenibilità per dividere le spese con la propria pensione e la replicabilità, perché si tratta di un modello riproponibile in altri contesti, con l’aiuto dei Servizi e del volontariato».

Diverse le figure coinvolte nel progetto: un collaboratore domestico fisso per la cura della persona e dei pasti; un collaboratore a ore per la pulizia degli ambienti; un gruppo di volontari della Comunità di Sant’Egidio, riferimenti affettivi per le persone ospiti, che seguono gli aspetti ricreativi, le uscite, l’accompagnamento alle visite mediche ed esigenze simili; un coordinatore volontario responsabile della casa, che si occupa della salute degli anziani e gestisce l’ordinaria amministrazione, mantenendo i rapporti con il personale, provvedendo alla spesa alimentare e al pagamento delle utenze.