Nel mese di maggio, tradizionalmente legato alla Madonna, si corre il rischio di lasciarsi avvincere da una sorta di sentimentalismo sotto la spinta di qualche canto o di qualche preghiera collettiva. Niente di male, dirà qualcuno. Tuttavia, non è forse bene porsi una domanda più profonda sia in relazione alla Vergine di Nazaret sia in relazione ai nostri affetti profondi? Chi è questa donna che incoroniamo di fiori? Gesto carico di significato quando sia ancorato al Vangelo e alla storia di Maria, nullo quando sia solo accessorio o folkloristico.
Al termine della “lunga veglia preparatoria”, come è stato pensato il percorso terreno del popolo eletto, ecco spuntare all’orizzonte la figura di Maria, la Donna-Madre di Gesù, come la definì Giovanni Paolo II, che racchiude in sé un mistero da accostarsi da tanti punti di vista, centrale però e vitale per noi, è quello della sua vita quotidiana e semplice, simile alla nostra, impegnata in compiti apparentemente banali ma essenziali al vivere della sua famiglia. Questo potrebbe bastare per rendercela vicina e avvertirla come una presenza che ci guida e sostiene? Sarebbe davvero troppo poco. Riprendiamo quel versetto evangelico che conclude la presentazione al Tempio del suo Figlio Gesù: «Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore». Quale il significato di “custodire”? Significa soltanto riporre, lasciare in un luogo sicuro per andare, di tanto in tanto, a rispolverare un ricordo? Sarebbe ben poca cosa e, magari, del tutto inutile.
Il cuore, nel linguaggio biblico, significa il centro della persona, la sua capacità e possibilità di decisione, l’interiorità, la mente, l’animo, la coscienza, soprattutto la libertà, con cui essa dispone di sé, per orientarsi verso un fine determinato con tutta la propria intelligenza, affettività e sensibilità. Questo è il luogo, in cui la Madre “conservava”. Il verbo sollecita l’impressione di una stasi, di una tranquillità, di un riporre; ben altro è invece il suo significato qualora lo si vada a cercare nei passi biblici della storia d’Israele che formavano la memoria viva di Maria e dell’evangelista Luca.
Al suo orecchio di fanciulla d’Israele, educata all’ascolto della Torah nel cuore d’Israele, il verbo portava in sé il confrontare, con una sfumatura bellica, ma pacifica, che la inclinava a considerare, all’interno del confronto, quanto il suo giorno le presentava dinanzi alla grande promessa di cui era depositaria. Una lunga e strenua lotta per rimanere fedele, malgrado le apparenze di una grigia vita a Nazaret. Una donna, silente, ma combattiva, che sa assumersi la sua responsabilità e non la relega in un angolo polveroso della sua esistenza.
Maria è «una che si collocava dalla parte dei credenti», la credente, colei che viene definita Bellezza d’Israele perché aderisce alla Parola di Dio con tutto il cuore e sul suo Volto traspare la pura luce di quanto vuol donarci: quanto la Bibbia chiama hesed, amore di tenerezza e di misericordia che non si attende la reciprocità. Bellezza perché «raduna in sé tutte le bellezze della creazione», come insegna la tradizione della Chiesa Ortodossa con il grande teologo Palamas.
Maria quindi ci diventa sorella nel cammino, non solo di questo mese, ma di tutta la nostra vita, se ci lasciamo plasmare nel silenzio dallo Spirito, se ci apriamo alla Bellezza della Parola. Allora i nostri fiori, i nostri canti tradizionali, non poggeranno su una sorta di vuoto da riempire, ma trasuderanno da una pienezza, quella della Donna-Madre che muove i suoi passi accanto ai nostri, concedendoci di spargere a piene mani quella Bellezza del Signore che «crea comunione» – lo insegna Dionigi l’Areopagita – nella massima apertura alla Verità.