Con un lungo e caloroso applauso preti e laici della Curia hanno accolto poco dopo mezzogiorno l’annuncio del cardinale Angelo Scola: mons. Carlo Redaelli è il nuovo Arcivescovo metropolita di Gorizia. Si tratta di una Chiesa importante che si trova «nell’antichissimo Patriarcato di Aquileia» e che ha saputo «farsi missionaria» non solo nelle terre alto adriatiche, ma anche in Slovenia, dei due Norici e nella Pannonia.
Lo aspetta quindi un grande lavoro come Pastore in una terra vastissima, se si pensa che la Metropolia di Aquileia contava in passato ben 57 diocesi, e oggi sono comunque 17 in Italia – ha Ricordato Scola -, 15 solo nel Triveneto oltre a Mantova e a Como; a queste si aggiungono 6 in Slovenia, 3 in Croazia, 7 in Austria e 3 in Germania.
Lo stesso mons. Redaelli non esclude di mettersi a studiare la lingua slovena per poter meglio dialogare con i suoi fedeli. La considera «una sfida» e sa che la Chiesa di Gorizia è un «crocevia di culture e di popoli».
L’Arcivescovo di Milano, che sembra conoscere bene quella terra del Nordest, ha voluto ricordare che «ad Aquileia l’Europa respira con i polmoni dell’Oriente e dell’Occidente», per questo ancora oggi la diocesi di Gorizia è chiamata a svolgere un ruolo delicato in unione alle Chiese nate ad Aquileia, «con rinnovato vigore, all’alba del terzo millennio».
Le doti a mons. Redaelli non mancano, lo stesso cardinale Scola ha ricordato la sua figura «solerte e discreta, laboriosa e rigorosa», ma anche «il suo indispensabile aiuto» e la «leale amicizia» nei primi nove mesi di episcopato milanese.
Ora Gorizia lo attende per una nuova evangelizzazione, ma l’Arcivescovo di Milano, che non farà mancare il suo sostegno «nella preghiera e nell’affetto», sa che quello del Vescovo «è un compito affascinante e gravoso che chiede preghiere e solidarietà a tutti i fedeli».
Preghiere che neppure mons. Redaelli farà mancare alla diocesi ambrosiana, unite al «costante ricordo» e al «mio interessamento per la Chiesa di Milano».
Ha appreso la notizia della sua nomina con «grande commozione e gioia», ma ammette anche la «fatica» a lasciare la Chiesa di Milano che lo ha generato. Ricorda la sua ordinazione per mano dell’Arcivescovo Carlo Maria Martini, a pochi mesi dal suo ingresso in diocesi, il lavoro quotidiano a fianco del cardinale Dionigi Tettamanzi – come Vicario generale – e poi dell’arcivescovo Scola. Seppure abbia lavorato per 32 anni in Curia, presso l’Ufficio Avvocatura e poi come stretto collaboratore di due Arcivescovi, mons. Redaelli ha sempre cercato di svolgere anche un lavoro pastorale «in particolare seguendo i giovani e le famiglie presso le parrocchie milanesi di S. Maria Annunciata in Chiesa Rossa, S. Maria Beltrade e Ss. Giovanni e Paolo.
Ha ricordate alcune scelte e innovazioni apportate in diocesi durante i suoi precedenti incarichi, prima come avvocato e poi come Vicario generale, e assicura che «è sempre stata un’esperienza di Chiesa molto significativa».
Quello di giugno è un mese che ha segnato la sua vita fin dall’inizio, perché «a giugno sono nato, sono stato battezzato, sono diventato prete e diventato Vescovo e ora mi viene donata una comunità di cui essere pastore». E a rafforzare il suo legame con la Chiesa ambrosiana e in particolare con la Curia c’è un altro fatto: «Il registro dove è stato annotato il mio battesimo, dopo la chiusura della cappella dell’ospedale dove sono nato», ha raccontato Redaelli, «si trova proprio qui in Curia presso l’ufficio per la disciplina dei sacramenti».
E così un altro Vescovo ambrosiano lascia la tanto amata diocesi per servire la Chiesa là dove il Signore lo chiama.