Da Renzo Tramaglino in poi la gran maraviglia del Duomo di Milano ha sempre lasciato tutti a bocca aperta. E a bocca non meno aperta ci lasciano le storie di uomini e donne che lungo tutto il corso dei 600 anni tra l’inizio della Fabbrica e i nostri giorni, a migliaia e migliaia hanno donato per la cattedrale della loro bella Madunina preghiere, sacrifici, denari e beni d’ogni genere, anche i più umili, privandosi, non di rado, fin del necessario; ovvero, rinunciando a tutto, in vita o in punto di morte. Sono conversioni repentine stupefacenti ed edificanti di mercanti ricchi sfasciati come il Marco Carelli e di vecchiette povere in canna come la Caterina di Abbiateguazzone; di temutissimi uomini d’arme al soldo del duca come l’albanese Alessio della Tarchetta e di fascinosissime signorine al soldo di facoltosi clienti, come la Donona, al secolo Marta de Codevachi da Padova. Storie che la mostra Ad Usum Fabricae. L’infinito plasma l’opera: la costruzione del Duomo di Milano ha il gran merito di aver liberate dagli archivi dove mettono il naso solo gli specialisti ed esposte alla conoscenza e all’ammirazione di chiunque lo voglia.
Per esempio, qui a Gessate, provincia di Milano, 8000 e rotti abitanti, a veder la mostra sulla Fabbrica del Duomo son venuti in 1500, vale a dire 3000 occhi sgranati e attenti. Un bel risultato per il Centro Culturale San Mauro che ha allestito l’esposizione e assicurato decine e decine di visite guidate, a beneficio anche di 24 classi, circa 500 studenti e rispettivi insegnanti. E molti di questi studenti alla mostra ci sono poi tornati di loro iniziativa portando i genitori e facendo loro da guida.
E poi c’è anche di più: c’è il Carlo Pastori, solista mattatore del palcoscenico, che da quelle storie s’è lasciato stupire con occhi e cuore spalancati di grande artista, o di povero cristiano, o di… ecco, bambino. E quello stupore incontaminato che l’ha invaso, te lo riversa tutto intero e genuino nei 90 o giù di lì godibilissimi minuti del suo spettacolo “AUF” (acronimo per l’appunto di Ad Usum Fabricae, che nella vulgata meneghina è divenuto sinonimo di a sbafo); te lo inietta anzi sotto pelle e te lo fa penetrare fin nelle ossa. Per raccontare l’incredibile di quelle vite repentinamente cambiate, Pastori indossa i panni, e l’animo, e la meraviglia, del testimone oculare e partecipe, sicché la memoria diviene un accadere contemporaneo e coinvolgente. E anche divertente, per il tratto godibilmente ironico ed umoristico dell’interpretazione dei personaggi-testimoni, irresistibilmente buffi nella loro umanissima sproporzione rispetto al miracolo. Da solo in blusa bianca su un palcoscenico vuoto con il trespolo delle candele da accendere come unica altra presenza (quanto basta per sapere che siamo nell’interno del Duomo) Pastori è di volta in volta l’allibito e invaghito notaio che stila l’atto di donazione con cui Donona dà tutto – case, soldi, gioielli – alla Veneranda Fabbrica, e fiorini d’oro alla bimba adottata per studiare e farsi una dote, e all’amica Margherita per lasciare, come lei ha già fatto, il bordello; allibito, il notaio, per l’enormità dell’atto legale e invaghito e confuso dalla conturbante bellezza di lei. Ecco poi in scena l’abile frequentatore di vendite all’incanto che riconosce la modesta pelliccetta della povera Caterina la quale se n’era privata per contribuire anche lei al Duomo, e l’acquista all’asta a caro prezzo per poi restituirgliela, essendo il suo unico indumento capace di proteggerla dal freddo. Ancora, è il fedele ruvido soldato da sempre galvanizzato dalla inaudita fierezza del suo capitano Alessio: e ci vuol tutta la tavolozza di colori e di suoni della sua parlata veneta per far capire quanto è strabiliato nel vedere il suo condottiero inginocchiato all’altare della Madonna con la spada deposta. Ed ecco infine lo stesso mercante Carelli che detta il testamento con piglio deciso da uomo di potere e d’affari, e minuzia di indicazioni fino alla pignoleria, con il quale lascia tutto il suo patrimonio all’impresa della cattedrale di Maria Nascente. Quattro bellissimi “quadri” incorniciati, anzi incastonati nello svolgersi di una improvvisata e alquanto improbabile visita guidata al Duomo che Pastori nei panni del sacrista-custode – questa volta in giacca scura d’ordinanza – si trova a dover guidare suo malgrado, causa smarrimento della guida titolare, dottoressa Perego.
E tu, spettatore, eri lì, ricordi?, in una Sala di provincia, “Cine Teatro Don Bosco di Gessate”, fra sentori di frusti velluti e reminiscenze di collegio salesiano, gli uni e le altre subito cancellati dallo spettacolo che ti ha catturato e ti trasportato altrove, dentro un’epopea umanissima, l’epopea santa del popolo e della sua cattedrale.
Morale: se hai già visto la mostra, ti godi lo spettacoloso approfondimento; se invece non l’hai ancora vista, ti vien voglia di correre a vederla.
“Che spettacolo!” erompe una giovane signora che ha fatto la guida per diverse visite. E non intende solo quello del Pastori, ma tutta l’esperienza positiva e imprevedibile dell’evento nella sua interezza”. Compresa la collaborazione in danaro o in prestazioni di sponsor pubblici e privati: Comune (ha sostenuto i laboratori didattici), Parrocchia, aziende come Eurostands (senza i suoi allestimenti addio mostra) , Arthermo, Aturia, Maggiolina Residenze, Ebi, Open group, e commercianti quali Floridea, Forno di Marta, Ottica Zurloni, che hanno contribuito in vario modo; un restauratore ha donato degli oggetti per la buona riuscita della mostra. Infine ciliegina sulla torta, è il caso di dirlo – ha dato una mano anche il Club Papillon Martesana. Come si vede un piccolo concorso di popolo per la fabbrica della mostra gessatese, quasi un cameo del grande concorso di popolo per la fabbrica del Duomo di Milano.
“Per un sì detto con semplicità a una proposta, ci siamo trovati sommersi dalla Grazia”, riconosce la giovane guida. La Grazia si era riservata due assi nella manica per calarli al momento giusto: la pioggia del week end che ha fatto aumentare il pubblico locale, e la sciura Maria che ha garantito l’apertura della mostra tutti i santi giorni dalla mattina alla sera. E abbiate pazienza se noi Gessatesi preferiamo tuttora questo vecchio linguaggio al moderno orrendamente insipido 7/7 H 24. Noi lo aborriamo; e la sciura Maria non sa neanche cosa voglia dire.