Dire mistero non è un modo, se si vuole elegante, per sfuggire di dare risposta o evitare di prendere posizione. Mistero è un termine che vuole sottolineare l’irruzione di Dio nella storia, di Colui che ci ha creati e ha voluto redimerci. Nulla a che vedere con una fantasmagorica suggestione di magia o di occultismo, piuttosto un avvertirsi interpellati a un qualche cosa che ci supera e si scopre non essere una cosa, un possesso, un oggetto ma una Persona, un Chi con cui entrare in relazione.
Da Persona a persona, per un’esistenza che si traduca in vita pellegrinante e, una volta varcata la soglia del tempo, in vita eterna. In quello che si rivela un camminare fra difficoltà e gioie, asprezze e sicuri porti di mare, non siamo gettati nel tempo, come suggerisce qualche filosofo, ma siamo portati e sorretti dalle mani del Creatore, il cui Volto ci è stato donato in Cristo Gesù. Il Figlio però ha preso carne nel grembo di una donna, una proprio come noi, che ha accettato di vivere questa relazione nel più profondo mistero che una persona umana possa immaginare: il Dio che si fa Uomo.
La giovane ragazza di Nazareth è stata perciò, con il suo libero assenso, collocata nel centro della storia della salvezza e con noi cammina nel lungo snodarsi dei secoli, infondendoci coraggio, perseveranza, luce. La sua postura è quella di una Sorella che, prima di noi, ha battuto le ardue vie della fede, e sa condividere e accogliere; è quella di una Madre che mai abbandona il figlio, ma lo soccorre e l’aiuta a risolvere i pasticci che si infiltrano nel nostro quotidiano, a sciogliere quei nodi che ci impediscono di scorgere il Volto del Padre.
Una giovane ragazza, divenuta giovane Madre, il cui Figlio si è avventurato in vicende che l’hanno portato a morire di pena capitale infamante: di Croce.
Maria di Nazareth ha imparato che cosa significasse sofferenza, dolore, abbandono e fiducia nei disegni di Dio, che le apparivano quanto mai esigenti e incomprensibili. In tutte le diverse sfumature della sua esistenza ha saputo vivere in pienezza la relazione che rende la nostra vita degna di essere trascorsa nel tempo e nella storia che ci è donata. A Lei si può ricorrere in tanti modi, ciascuno preferisce il proprio, quello che ha elaborato prestando ascolto al mistero che si insinua e si fa spazio nel concatenarsi dei giorni.
Una tradizione popolare e antica pone un accento particolare al mese di maggio e lo ritiene il mese a Lei dedicato. Per certi aspetti quasi dichiarando gli altri mesi non siano dedicati a Lei? Forse sì e forse no. O meglio, attraverso un’intuizione semplice e, probabilmente solo devozionale, l’accento posto sulle settimane maggioline, può trasformarsi in una linfa che percorre tutti i giorni, tutto integralmente il quotidiano.
Altrimenti ci troveremmo dinanzi a una sorta di fenomeno che lascia il tempo che trova e soddisfa solo un sotterraneo timore che, se così non si facesse, ci si sentirebbe dei reietti.
La Sorella e Madre Maria di Nazareth non è così meschina e fiscale, non calcola i trentun giorni e poi chiude il battente. Il mese di maggio vuole solo essere un richiamo pedagogico per fare spazio a una certezza viva dentro di noi: Lei è con noi sempre.
La grande preghiera liturgica della Chiesa che scandisce la giornata proclama i salmi, preghiera di lode e di supplica a Dio, antico retaggio di tanti oranti da secoli, che vi hanno trovato la chiave della vita e il perché delle loro oscurità e delle loro luci. Lentamente si è aperta un varco una modalità semplice e alla portata di tutti: il rosario che sintetizza i 150 salmi e con la sua ripetitività concilia la calma e la distensione. Quando la sua recita non sia un susseguirsi rapido e biascicato di parole.
È il ricordo della Madre e Sorella che guarda alla vita del Salvatore e vi fissa lo sguardo per venirne impregnata. È un andare a Cristo attraverso Maria per diventare come Lei, adoranti, supplici, stupefatti, nel susseguirsi dei quadri evangelici proposti: i misteri.