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Verso il ballottaggio

Le elezioni alla prova delle periferie

L’analisi di Mauro Magatti a partire dall’astensionismo del primo turno: «I candidati sindaco ce la mettono tutta, ma la distanza con ampi strati della società è troppo alta. Può spostare voti un sentimento di paura o la sensazione di ripresa»

di Pino NARDI

12 Giugno 2016

Tra pochi giorni i milanesi saranno chiamati ancora alle urne per il turno di ballottaggio tra i due candidati sindaco Beppe Sala (centrosinistra) e Stefano Parisi (centrodestra). Ci sarà uno scatto di partecipazione rispetto all’enorme e inedita percentuale di astensioni di domenica scorsa? Questo malessere e il volto di Milano che esce dalla tornata elettorale nella riflessione di Mauro Magatti, sociologo dell’Università cattolica.

Quasi metà dei milanesi non ha votato al primo turno. Un astensionismo molto forte in una città come Milano. Come possiamo leggere questo fenomeno?
Questo è proprio il dato più rilevante di tutta la vicenda. Per quanto gli attori – dal sindaco Pisapia ai due candidati – ce la mettano tutta, la distanza che si registra con ampi strati della società è troppo alta. Ci si può consolare dicendo che questo avviene anche in altri Paesi democratici, però credo che sia l’indicatore non di una malattia, ma di una certa infiammazione del tessuto sociale, che va tenuta sotto controllo. Si tratta di qualcosa che segnala disagio e difficoltà, incomprensione e lontananza dalle istituzioni. Questo sicuramente non è una cosa buona.

Il Partito democratico ha registrato un successo nelle zone del centro ed è stato sconfitto in molte periferie milanesi. Questo vuol dire che anche l’Amministrazione Pisapia non ha saputo rispondere ai loro bisogni?
Credo non c’entri tanto Pisapia, piuttosto il fatto che Sala sicuramente ha rappresentato e rappresenta l’Expo, gli interessi economici, anche una certa borghesia che in questi anni ha sostenuto in parte Pisapia. Il centrosinistra tende ad avere problemi ormai da molto tempo tra i ceti popolari e la candidatura di Sala, nelle periferie, li ha accentuati. Dall’altra parte Parisi, candidato di centrodestra, è espressione di questo stesso mondo, ma ha fatto un cartello elettorale con la Lega che ha invece una maggiore capacità di raccogliere il malcontento dei ceti popolari.

Il centrodestra unito ha infatti ottenuto un notevole consenso…
Il problema del centrodestra unito è complesso, perché da una parte sicuramente è più forte elettoralmente e contiene le spinte e le derive più pericolose tra i ceti popolari. Dall’altra parte poi bisognerà capire se si tratta di un cartello elettorale o quale tipo di politiche emergeranno, perché non è ben chiaro.

Cioè la convivenza tra Parisi e Salvini?
Esatto. Secondo me questa ambivalenza da una parte rafforza elettoralmente e contiene queste derive, dall’altra parte però pone interrogativi su quale sarà la capacità di governo.

Tornando al centrosinistra, la frammentazione della sinistra estrema che ha appoggiato Basilio Rizzo è l’ennesimo episodio di frazionismo identitario che però politicamente porta a poco? Oppure era inevitabile con la candidatura di Sala?
È lo stesso problema che ha il centrodestra. Gli effetti assumono esiti elettorali in rapporto anche alle scelte che si fanno. In questa lunga crisi si vanno rafforzando le componenti di malcontento che tendono a essere più forti sulla destra quanto sulla sinistra. Dappertutto abbiamo visto la crescita di movimenti populisti, ma anche Podemos in Spagna e il primo partito in Grecia. Quindi c’è una pressione sociale che tende a divaricare gli orientamenti degli elettori e i sistemi politici, che cercano qualche volta con successo, come elettoralmente ha fatto il centrodestra, altre volte invece non riescono a tenere insieme la fatica della globalizzazione.

Entrambi i candidati, Sala e Parisi, si stanno smarcando dai leader nazionali, sia da Renzi sia da Berlusconi. È un bene per depoliticizzare le elezioni comunali e per evitare il voto di «dispetto» contro il governo?
Credo che in questo momento i sistemi politici facciano una gran fatica a stare insieme. Chi è esposto a una prova elettorale fa di tutto per vincere come riteniamo sia normale. Però questo non è tanto un desiderio di portare il dibattito a livello locale, è invece più il sintomo di uno stato di sofferenza della politica: si prendono le distanze dai leader, da una parte perché c’è nell’elettorato l’insoddisfazione della politica nazionale e dall’altra parte anche a livello locale si giocano partite che guardano ai danni altrui.

A Milano il Movimento 5 Stelle non ha sfondato, come a Roma e a Torino. La forte presenza dei due poli tradizionali toglie spazio. È giusto che si parli di modello Milano che converge al centro?
Che centrodestra e centrosinistra abbiano giocato la partita al centro l’abbiamo visto, anche con qualche problema di rappresentatività. Qui il Movimento 5 Stelle è debole perché a Milano, in particolare in Lombardia, più ancora che a Torino, la Lega rimane forte, c’è ancora Maroni in Regione e Salvini. Peraltro Forza Italia resta in piedi, anche perché la scelta del candidato l’ha aiutata e il Pd ha grandi consensi nei quartieri centrali della città.

Quali temi saranno vincenti in questa ultima settimana di campagna elettorale?
Questo è molto difficile da prevedere. Ho avuto la sensazione che il discorso nazionale a Milano come a Roma e a Torino abbia avuto un peso enorme dentro la realtà locale, in relazione a quello che succedeva riguardo le scelte recenti piuttosto che a quelle dei partiti. Temo che ciò che conterà molto saranno i fatti: se succede qualcosa in questi giorni, come nuovi avvisi di garanzia o se ci sono avvenimenti che possono spingere ad accentuare ad esempio un sentimento di paura piuttosto che la sensazione di ripresa.