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Liturgia

La verità che rende liberi

«Conoscere» e «dimorare» esprimono la pienezza dell’esperienza della fede: impossibile costruire un’immagine di Dio secondo i nostri gusti e pretendere un senso per la nostra vita rifiutando la verità annunciata da Gesù

di Luigi NASON

9 Marzo 2012

La Domenica di Abramo richiama la fedeltà all’alleanza presentando l’episodio del vitello d’oro. È importante ricordare che nel racconto di Esodo questo episodio segue immediatamente il c.24 in cui è celebrata l’alleanza del Sinai. «Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato» (Es 32,7-13).

L’ira del Signore si accende contro il popolo di «dura cervice», termine che indica chi vuole affermare il proprio modo di pensare allontanandosi dall’ascolto del Signore. La richiesta del vitello d’oro è gesto di idolatria e pone in discussione la presenza del Signore, la sua capacità di guidare Israele per mezzo di Mosè la cui assenza sembra coincidere, per il popolo, con l’assenza stessa del Signore.

Mosè intercede: non giustifica il popolo, ma gioca tutto sul Signore e su quanto Egli ha compiuto in favore di Israele perché abbia misericordia. Tre i motivi addotti: il Signore ha fatto uscire Israele dall’Egitto, che senso avrebbe distruggerlo ora? Ciò metterebbe in discussione la sua stessa potenza di fronte agli egiziani e agli altri popoli e infine la promessa della discendenza e della terra: «Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi». La promessa del Signore non può venire meno.

La pagina evangelica (Gv 8,31-59) pone Gesù di fronte al peccato di incredulità, cioè al rifiuto della «verità», al rifiuto del suo mistero e di quello del Padre che egli rivela: «Quei Giudei che gli avevano creduto […] risposero: "Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno". "In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo"». Gesù indica la via alla verità che sola rende liberi: «Se rimanete [dimorate] nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi».

«Conoscere» e «dimorare» nel vocabolario giovanneo esprimono la pienezza dell’esperienza della fede. Questa parola è per noi: impossibile costruire un’immagine di Dio secondo i nostri gusti e pretendere un senso per la nostra vita rifiutando la verità annunciata da Gesù. Vera discendenza di Abramo, «nostro padre nella fede», è chi obbedisce alla Parola. La verità che rende liberi è la vita stessa di Dio, comunicata nella Parola e nei Sacramenti, da accogliere per «rimanere saldi nel Signore» (1Ts 3,8).

«Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse»

Continua la proclamazione del libro della Genesi con i racconti del ciclo di Abramo accompagnata da quella del libro dei Proverbi e del discorso della montagna. La promessa ad Abramo di una discendenza numerosa è accompagnata dalla richiesta di un «segno» destinato ad esprimere l’impegno a custodire il dono dell’alleanza: «Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione».

Il «segno dell’alleanza» è la circoncisione, praticata anche da altri popoli, che qui assume un significato nuovo: «Così la mia alleanza sussisterà nella vostra carne come alleanza perenne». Vi è un impegno a sottolineare che la vita è dono in cui si manifesta la benedizione del Signore, dono preceduto e fondato sulla sua fedeltà: l’alleanza è infatti chiamata «eterna, perenne», come in Ez 16,59-63 a conclusione della stupenda allegoria della storia di Israele. L’espressione «alleanza eterna», ancor meglio di «alleanza nuova» (cf Ger 31,31-34), sottolinea come la fedeltà del Signore è più forte dei tradimenti di Israele che la rompe con il peccato.

L’alleanza del Signore non può essere che unica: l’alleanza antica e perenne fonda quella futura e un’opposizione radicale tra loro finisce per misconoscere l’unitarietà del disegno del Signore. L’alleanza è patto che esige un impegno tra i contraenti, ma Dio e l’uomo non sono sullo stesso piano: perciò l’alleanza ha sempre un carattere unilaterale.

All’opposto di Israele, il Signore «si ricorda» del suo impegno: nonostante i tradimenti rinnova l’alleanza con l’uomo perché essa si fonda interamente sul suo perdono. Proprio perché «Dio si ricordò di Abramo» la distruzione di Sòdoma e Gomorra, con il giudizio del Signore che trasforma in terra desolata la terra scelta da Lot perché era «come il giardino del Signore» (Gen 13,10-13), non termina in completa tragedia.

Il peccato rovina la creazione, trasforma in deserto il giardino in cui Dio chiama l’uomo a vivere, ma Egli non viene meno alla sua fedeltà: «Così, quando distrusse le città della valle, Dio si ricordò di Abramo e fece sfuggire Lot alla catastrofe…» (Gen 19,29). Il Signore non dimentica neppure Agar e Ismaele, scacciati da Abramo e condannati a morire nel deserto: «Dio udì la voce del fanciullo […]. E Dio fu con il fanciullo, che crebbe e abitò nel deserto…» (Gen 21,17-20). Alla morte di Abramo, Isacco e Ismaele si trovano insieme. Con Isacco la promessa della discendenza numerosa inizia a realizzarsi, ma la promessa della terra per ora consiste nella caverna di Macpela, lo spazio di un sepolcro: «Poi Abramo spirò… Lo seppellirono i suoi figli, Isacco e Ismaele, nella caverna di Macpela… di fronte a Mamre…» (Gen 25,8-10).

Il libro dei Proverbi traduce a livello esistenziale l’impegno di fedeltà all’alleanza, visto come sorgente di vita: «La sapienza dice: "Ora, figli, ascoltatemi: beati quelli che seguono le mie vie! […]. Infatti, chi trova me trova la vita e ottiene il favore del Signore; ma chi pecca contro di me fa male a se stesso; quanti mi odiano amano la morte"» (Pr 8,32-36). Le parole di Gesù delineano le caratteristiche della figura del discepolo: la preghiera, di cui Egli è maestro e testimone (Mt 6,7-15); il digiuno autentico, gradito a Dio (Mt 6,16-18); l’invito a non cedere alla «preoccupazione del mondo» e alla «seduzione della ricchezza» (cf Mt 13,22), per non cadere nella tentazione dell’idolatria: «Nessuno può servire a due padroni… non potete servire Dio e la ricchezza» (Mt 6,19-24) e «Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,25-34). Infine, la catechesi battesimale del sabato richiama i riti di esorcismo e l’unzione con l’olio e assume rilevanza pastorale nel cammino di preparazione dei catecumeni e di memoria del Battesimo: «Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano» (Mc 6,12-13).

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