Che cosa è stato Angelo Scola per la Chiesa di San Marco? Che segni ha lasciato nel suo decennale ministero episcopale nella città lagunare? Domande che i cattolici veneziani erano ben lontani dal porsi e che, invece, si sono presentate, improvvise ed impreviste, quando è giunta la notizia che il patriarca di Venezia era stato nominato arcivescovo di Milano. Domande che il senso di gratitudine non ha consentito di lasciare inevase.
Di Scola resta, innanzitutto, la sua irriducibile passione per Cristo e per l’uomo: la fede ha a che fare con la persona concreta; Cristo è morto e risorto non per un’idea astratta di uomo, ma per l’uomo concreto, storicamente situato, collocato in un intreccio di relazione, che ama, soffre, lavora. È lungo questa linea che il Patriarca ha impostato la Scuola di metodo, una tra le sue più felici intuizioni pastorali, per comprendere le «implicazioni dei misteri cristiani nella loro prospettiva antropologica, sociologica e cosmologica». La scuola, tre incontri all’anno arrivata ora al quarto anno, frequentata da alcune centinaia di persone, non aveva carattere accademico. Era, invece un “gesto ecclesiale” attraverso il quale il patriarca Scola ha condotto la sua Chiesa dentro la storia viva degli uomini, nella quale hanno fatto irruzione problemi nuovi ed inediti. Da intellettuale rigoroso e da uomo di fede appassionato ne ha fornito chiavi di lettura illuminandoli alla luce del Vangelo.
I cattolici veneziani riconoscono che il loro Patriarca ha saputo trarli fuori dalla tentazione di rinchiudersi nella sicurezza dei loro recinti. Li ha resi sicuri che la forza del Vangelo consente di attraversare questo nostro tempo, li ha incoraggiati ad essere nel mondo, disponibili all’ascolto e al dialogo.
Il rigore intellettuale e la fede appassionata del cardinale Scola si sono sposate con il rispetto della libertà di tutti e di ciascuno, perché – questa era la convinzione più volte manifestata – solo una proposta liberamente ascoltata e liberamente accolta ha la forza di mettere a nudo la propria coscienza e stimolare una risposta di conversione.
Questo rispetto per l’altro e per la sua libertà, ha fatto del Cardinale un vescovo “impegnativo”. Chi, infatti, decideva di ascoltarlo non poteva cavarsela a buon mercato, con un’obbedienza acritica o con un dissenso di maniera: la rigorosità del suo argomentare, il suo andare sempre alla radice delle questioni, esigevano che consenso o dissenso avessero lo stesso rigoroso percorso.
Nessuno si nasconde che gli inizi del ministero di Scola abbiano richiesto anche un po’ di fatica. Del resto succedeva al cardinale Cè che aveva retto la Diocesi per 23 anni e aveva perciò un rapporto particolarmente radicato nel cuore della gente. Ma un po’ alla volta la sintonia tra Scola e la Chiesa veneziana è andata via via progredendo. Molti individuano un punto di svolta nella Visita pastorale. La gente è stata particolarmente colpita da un vescovo che non ha percepito come estraneo, ma dentro i suoi problemi, e parlava del Vangelo proprio a partire dalla situazione del territorio: «È uno dei nostri». E Scola, da parte sua, ha sentito da vicino tutto l’affetto della gente, ha trovato situazioni di testimonianza cristiana esemplari. Qualche volta ne ha fatto cenno, raccontando come, visitando nelle loro case alcuni ammalati, ne usciva profondamente toccato.
Nel momento di lasciarsi, Scola e i cattolici veneziani hanno assaporato la bellezza di un percorso, fatto anche di fatica, che li ha portati a scoprire di volersi bene. Non importa se da Venezia o da Milano.