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Milano

La risposta di Niguarda:
teniamo unita la città ferita

Si sono svolti sabato i funerali delle tre vittime barbaramente uccise. Parla il vicario parrocchiale don Angelo Cavenago

di Pino NARDI

20 Maggio 2013
CHIESA DI PIAZZA BELLOVESO, MESSA IN RICORDO DELLE VITTIME DELL' AGGRESSIONE CON PICCONE IN ZONA NIGUARDA (MASSIMO ALBERICO, MILANO - 2013-05-12) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate

Un’alba che ha sconvolto Niguarda. E poi, via via che le informazioni si diffondevano, l’intera città e il Paese. La violenza brutale, casuale, senza senso di Mada Kabobo, il giovane immigrato, ha provocato tre vittime più altri feriti. Un fatto choccante che interroga le coscienze di tutti. A partire dalla comunità cristiana.

San Martino in Niguarda da una settimana è impegnata con la preghiera e la vicinanza spirituale alle famiglie delle vittime, diventando punto di riferimento per tutti coloro – credenti o meno – che non si rassegnano alla violenza, alla reazione scomposta, che non si fanno strumentalizzare per motivi di bassa politica. Sabato in questa chiesa si sono celebrati in mattinata i funerali di Alessandro Carolè, 40 anni, e nel pomeriggio di Ermanno Masini, 64 anni, due delle tre vittime. Entrambi sono stati portati dall’Istituto di medicina legale. Le celebrazioni sono state presiedute dal parroco, don Fabio Baroncini. Con don Angelo Cavenago, vicario parrocchiale insieme a don Pierluigi Robbiati, riflettiamo su quanto è accaduto. Con un’amarezza che si somma alla tragedia, dovuta a come certa stampa ha trattato l’intera vicenda.

Don Angelo, come sta vivendo la comunità questi giorni così difficili?
La comunità parrocchiale è molto composta. Martedì sera abbiamo fatto un momento di preghiera recitando il Rosario per tutte e tre le vittime. C’è stata una grande partecipazione di gente, a mio avviso anche di persone che comunemente non frequentano. Quindi la preghiera è una risposta sentita e desiderata, in un momento in cui è forte lo sconcerto, la perplessità, l’incapacità di dare una risposta di senso a quanto è avvenuto. Tuttavia sempre composta: infatti quando i primi giorni ci sono state manifestazioni politiche, qualcuno è stato contestato e c’è stata poca adesione a queste cose.

È un segnale importante nel non farsi strumentalizzare…
La nostra è proprio brava gente. Anche chi non ha un senso religioso vissuto nella pratica della fede è comunque gente di buona volontà. Sono veramente poche le voci fuori dal coro.

La comunità cristiana come si sta impegnando?
L’intento di noi tre preti è quello di tenere unita una comunità, di ricomporre le ferite, di accompagnare. Sto sentendo tutti i giorni i parenti delle due vittime della nostra parrocchia. Sarà un accompagnamento spirituale che continuerà anche dopo. Comunque non c’è mai stata da parte delle famiglie una risposta eccessiva, puntando il dito contro qualcuno o prendendosela con il Signore. Sono solo addolorati della grave perdita che hanno avuto. Questo è il lavoro che in silenzio stiamo facendo tutti i giorni. La gente che ci è vicina e le nostre suore ci assicurano che continuano a pregare per queste persone.

Come avete accolto le parole del cardinale Scola, l’invito alla preghiera, al silenzio e a evitare strumentalizzazioni?
Nei nostri brevi interventi prima che giungesse la parola autorevole del Cardinale avevamo scelto quella linea. Quindi le abbiamo condivise: appena arrivato il messaggio abbiamo fatto un cartellone grande, leggibile in modo chiaro, uno affisso in oratorio e uno fuori dalla porta della Chiesa. Sono tuttora lì.

Nella tragedia c’è anche la figura di questo ragazzo abbandonato da tutti. Come porsi di fronte a una solitudine che poi esplode in violenza brutale?
Nell’omelia di domenica scorsa ho chiesto di non puntare il dito da giudici spietati, di considerare che probabilmente si tratta di una malattia, di un episodio di non normalità, di una solitudine di tempo, di una mancanza di compagnia che poteva sostenerlo. Ma con questo non c’era una giustificazione rispetto al reato. La responsabilità di uno resta sempre soggettiva e non si può imputare a una collettività. Dunque, chi vuole capire capisca. Richiamavo tutti alla responsabilità della preghiera, al fatto che dobbiamo sentirci figli di Dio in cammino, e quindi il nostro modo di accompagnare, essendo cristiani, è la preghiera di intercessione. E chi se la sente, pregherà anche per Kabobo.