Il libro si legge in un fiato, sia per l’innata capacità di scrivere di Antonio, sia per il fascino del personaggio. Le pagine descrivono Demetrio Stratos uomo di spettacolo, uomo di scienza, uomo di cultura che conosce e parla diverse lingue, uomo politico.
Egiziano di nascita, figlio di genitori greci, cresce e studia in un collegio cattolico a Cipro e terminate le scuole superiori a 17 anni (come prevede il sistema scolastico inglese), nel 1962 si iscrive alla facoltà di architettura di Milano. Tra i corridoi del Politecnico incontrerà Daniela, sua futura moglie, che sposerà con rito ortodosso.
Ma è la musica la sua lingua, il suo cuore, la sua mente. Una musica d’avanguardia, una musica di ricerca, fatta di strumenti, di voce e di corpo. Per lui il corpo è musica e tutto si esprime con sonorità che è unica ed individuale.
Eppure la sua musica ha radici profonde, primordiali e mondiali: l’Oriente e l’Occidente, il nord e il sud, l’America e l’Inghilterra, i Caraibi e l’India e il suo Mediterraneo.
Gli artisti, si sa, vedono un futuro che per molti non è accessibile.
A pag. 153 si legge la definizione davvero illuminante che Hildago, una delle persone che collaborò con Demetrio ad un progetto, dà dell’esperienza: "Un’esperienza è un happening, proprio nel senso letterale di "accadimento". È una cosa che accade, la si può provocare più volte ma non è replicabile, sarà sempre diversa".
Sì, insomma, attraverso l’incontro tra persone, in questo caso tra musicisti, si può cambiare, migliorare a patto che quello che "accade tra di loro" prenda valore e sostanza.
Possibile che un uomo di talento, dotato di grande capacità di incontro e di ascolto, abbia potuto vivere senza Dio?
Non è una domanda di partito, ma è la consapevolezza che il confronto tra chi legge e l’attore del libro può far crescere la gente e non renda inutile lo studio e la fatica dell’autore.
Ho girato la domanda ad Antonio Oleari che da giovane appassionato di ciò che fa e che scrive mi ha risposto: «Non conosco il rapporto di Demetrio con Dio, ma credo fosse molto forte. Io credo che la sua arte ne fosse certamente espressione, l’arte quando è incontro con l’altro, ricerca dei propri limiti e della natura umana, superamento del contingente per andare "oltre". Forse, quando l’uomo si fa carico di questi misteri, misteri che se portati all’estremo, sono tutti divini, di Dio dimentica di parlare. In anni controversi e rivoluzionari, in cui i punti di riferimento si mescolavano, comparivano e scomparivano, Demetrio, ortodosso di nascita, ha professato la religione, tutta eterodossa, dell’arte. Ma l’arte fine a se stessa credo non basti alla nostra anima. Quella di Demetrio aveva molta sete, spero che abbia bevuto in questi anni lontano da noi».
F.A.
Gocce di cultura
La religione dell’arte di Demetrio Stratos
Recensione del volume di Antonio Oleari, Demetrio Stratos - gioia e rivoluzione di una voce, Aerostella, Milano