Dalla nascita di Maria alla risurrezione dopo la sua morte o, con vocabolario più dogmatico, dalla sua concezione immacolata alla sua assunzione, la vita di Maria avvolge l’intera Cattedrale di Milano. Lo dicono bene l’iconografia della porta centrale della facciata del Duomo o le Storie di Maria (con 10 simboli mariani), scolpiti nel retrocoro all’epoca di Federico Borromeo, in cui sono rappresentati 17 quadri della Storia di Maria, dalla sua natività alla sua incoronazione, per mano dei più apprezzati autori milanesi del tempo, da Gian Andrea Biffi a Marcantonio Prestinari, da Giovanni Pietro Lasagna a Giovanni Bellanda e Gaspare Vismara.
E soprattutto, la Madunina che sta al vertice della guglia maggiore, a 108 metri di altezza, e domina la costruzione di questa singolare “tenda” in mezzo alla città, facendo da mediatrice tra il cielo e l’intera metropoli. Essa fu inaugurata il 30 dicembre 1774 e rappresenta il vertice di un tempio fatto di pietre vive, non costruito da mani d’uomo, ma coinvolgente tutta la santità di un popolo che cammina nella memoria della Pasqua del Signore Gesù: i 52 pilastri costruiti “a fasci” di marmo rappresentano le 52 settimane del nostro anno che, attraversato dalla presenza dello Spirito del Risorto, produce santi e testimoni in ogni generazione di credenti. Ed è giusto che, al di sopra di essi, svetti la Vergine Madre del Signore, “Madre di Dio” e “Madre della Chiesa”.
Nella cattedrale, la comunità cristiana – come la comunità del cenacolo con i Dodici e gli altri discepoli – prega nella memoria del Figlio Gesù, attendendo una nuova effusione dello Spirito per una testimonianza viva e creativa.
Nell’esortazione apostolica Marialis cultus (2 febbraio 1974), a proposito del santo Rosario, «compendio di tutto quanto il Vangelo», Paolo VI suggeriva di trovare «accanto al valore dell’elemento della lode e dell’implorazione, l’importanza di un altro elemento essenziale del Rosario: la contemplazione. Senza di essa il Rosario è corpo senza anima, e la sua recita rischia di divenire meccanica ripetizione di formule e di contraddire all’ammonimento di Gesù: “Quando pregate, non siate ciarlieri come i pagani, che credono di essere esauditi in ragione della loro loquacità” (Mt 6,7). Per sua natura la recita del Rosario esige un ritmo tranquillo e quasi un indugio pensoso, che favoriscano all’orante la meditazione dei misteri della vita del Signore, visti attraverso il cuore di colei che al Signore fu più vicina, e ne dischiudano le insondabili ricchezze» (n. 47).
Ecco il senso del ritrovo della Chiesa ambrosiana in Duomo la sera di venerdì 10 maggio, durante la novena di Pentecoste, stretta attorno a Maria, con il nostro Arcivescovo a contemplare il mistero di Cristo attraverso la partecipazione ad esso e l’intercessione della nostra Madre. Il Duomo si trasformerà quella sera in un cenacolo in cui si contemplerà con Maria la nostra partecipazione al mistero del grande giorno pasquale di Cristo Signore.
È ancora la Marialis cultus a smussare ogni contrapposizione tra l’azione liturgica e il santo Rosario, riaffermando la centralità della prima senza trascurare il secondo: «Come la Liturgia, infatti, [il Rosario] ha un’indole comunitaria, si nutre della Sacra Scrittura e gravita intorno al mistero di Cristo. Sia pure su piani di realtà essenzialmente diversi, l’anamnesi della Liturgia e la memoria contemplativa del Rosario hanno per oggetto i medesimi eventi salvifici compiuti da Cristo. La prima rende presenti, sotto il velo dei segni ed operanti in modo arcano, i più grandi misteri della nostra Redenzione; la seconda, con il pio affetto della contemplazione, rievoca quegli stessi misteri alla mente dell’orante e ne stimola la volontà perché da essi attinga norme di vita» (n. 48).
Sentiamoci allora tutti convocati nel singolare “santuario mariano” che è il nostro Duomo, in cammino verso la santità che la nostra Chiesa percorre al seguito di Maria e in comunione con il nostro vescovo, perché possiamo essere testimoni di Cristo, «ora e nell’ora della nostra morte. Amen».