Bianca, 22 anni, studente di architettura. Un pomeriggio ha lasciato da parte i libri: è andata a tenere compagnia ai figli dei siriani che nei giorni precedenti avevano dormito stesi sui marmi gelidi della Stazione Centrale, prima dell’intervento del Comune. Quello stesso pomeriggio, più tardi sono arrivate anche le sue amiche: le educatrici dell’associazione «Bambini in Romania», fondata da don Gino Rigoldi. Hanno preso i più piccoli per mano e li hanno fatti cantare. I genitori guardavano divertiti. E i volti scuri – affaticati dai giorni in mare e dalle notti passate all’addiaccio – si sono finalmente sciolti in sorrisi.
Siamo in via Novara, il centro del Comune gestito dalla cooperativa Farsi Prossimo di Caritas Ambrosiana, una delle due strutture riaperte per far fronte alla nuova emergenza umanitaria che ha investito Milano. Nei suoi prefabbricati, in questa area periferica della città, da più di una settimana ha trovato accoglienza una parte dei profughi in fuga della Siria, che si erano fermati alla Stazione Centrale in attesa di proseguire il loro viaggio della speranza verso il Nord Europa. L’intervento del Comune ha potuto offrire un riparo più dignitoso a queste persone proprio grazie alla mobilitazione straordinaria della società civile. I milanesi sono stati protagonisti di una gara di solidarietà. In un solo giorno gli operatori della Caritas Ambrosiana hanno raccolto coperte, materassi e lenzuola per arredare il centro. Domenica scorsa è bastato far circolare la voce tra i ragazzi degli oratori del quartiere, perché si presentassero una trentina di giovani pronti a prendersi cura dei bambini, mentre le famiglie si sistemavano negli alloggi. E ogni giorno è stato un via-vai di persone venute a portare aiuto. Giocattoli, maglioni, giacconi pesanti. «Posso entrare? Voglio vedere se i signori che ho conosciuto in Centrale stanno bene e hanno ancora bisogno di qualcosa…». Silvia Nur, milanese convertitasi all’Islam, nei giorni passati era corsa alla Centrale chiamata da un’amica siriana per distribuire cibo e vestiti. Ne ha ancora un sacco pieno in auto e vuole consegnarlo di persona. Safwan, uno degli ospiti, ha gli occhi lucidi e ringrazia: «Thank you, thank you».
Al momento in cui scriviamo gli ospiti registrati in via Novara sono 87: 40 di loro sono bambini, tra i quali 17 lattanti. Il più piccolo ha 30 giorni ed è nato a Catania, dopo lo sbarco a Lampedusa. Altri 6 hanno meno di un anno: «Sono arrivati molto provati dal viaggio e dalle notte all’aperto» spiega Davide Garofalo, operatore della cooperativa Farsi Prossimo. «Qualcuno piange ancora i propri morti. C’è chi ha saputo solo qualche giorno fa di aver perso amici e parenti nel naufragio al largo di Lampedusa dello scorso 3 ottobre».
Secondo la convenzione siglata venerdì 18 ottobre tra il Comune e il Governo, i profughi potranno rimanere temporaneamente nel centro di via Novara e nell’altro, aperto dall’Amministrazione comunale in via Aldini (120 posti). Qui riceveranno vitto e alloggio grazie alle risorse erogate dal Ministero dell’Interno (30 euro a ospite). Per il momento, però, nessuno intende fermarsi qui troppo a lungo. Tutti sperano di poter passare la frontiera senza essere identificati e chiedere asilo politico in Svezia o in Norvegia, dove le politiche di accoglienza sono molto più generose. Pur di inseguire questo sogno sono disposti a spendere anche gli ultimi risparmi rimasti o a chiederli ad amici e parenti. Il malaffare ha già fiutato il business. Secondo operatori e volontari, già nei giorni scorsi alla Centrale si sarebbero fatti avanti sfruttatori per offrire ai profughi passaggi in auto. Dalle informazioni raccolte ci sarebbe già un tariffario: 700 euro per Monaco, 850 per Berlino. Viaggi che spesso non giungono a destinazione. Nei giorni scorsi alcune famiglie sono state intercettate in Austria e riaccompagnate in Italia, perché secondo gli Accordi di Dublino che regolamentano la gestione dei richiedenti asilo tra gli Stati membri della Ue, è il Paese di approdo a doversi fare carico dell’accoglienza. I profughi sanno bene dei rischi che corrono, ma ormai non hanno più nulla da perdere. «L’altra notte abbiamo accolto una coppia: lei era incinta di sette mesi. Stamattina non c’erano più», racconta ancora Garofalo.
Mescolando arabo a inglese Safwan spiega di essere commosso per la grande generosità dei milanesi. Ma lui vuole una nuova vita, non assistenza. Ad Hama ha lasciato il suo negozio di frutta e verdura. E ora cerca un lavoro, un casa, una scuola per i suoi figli. «But in Italy it’s difficult». Così spera che il futuro ricominci più a Nord.