Nonni a tempo pieno o part-time, ma, comunque, mai baby sitters. Proprio perché portatori di un valore educativo profondo, di un’autorevolezza riconosciuta, che non è basata sull’autorità e di un coinvolgimento relazionale con i nipoti che travalica – di molto – il semplice rapporto intergenerazionale.
Nel salone delle conferenze dell’Arcivescovado si parla della generazione “giovane” e attiva della “nonnità”, come viene definita con un interessante neologismo. Tante le persone presenti, molti i capelli grigi, come è ovvio, per il convegno “La funzione dei nonni nella famiglia di oggi”, promossa dall’Associazione “Nonni 2.0”, fondata da Giuseppe Zola.
Ci sono i testimoni – modera la giornalista del Corriere della Sera, Elisabetta Soglio -, i due nonni milanesi Francesco Ariatta, con un solo nipote, e Michele Rizza, ben ventiquattro, accanto a Lamberta Mendoza, di origini filippine, da tempo in Italia. Ed è proprio lei a definire un orizzonte non molto diverso, nel proprio Paese natale, quando si parla di nonni. «Da noi spesso i figli abitano in casa dei genitori, anche se sono padri e madri a loro volta. Ciò sta accadendo anche a me e a mia figlia che ha una bimba di dieci mesi. La nostra cultura su questo non è molto diversa dalla vostra: c’è rispetto, attenzione, e un rapporto basato sull’affetto, come nella famiglia italiana in cui lavoro».
Pensa Lamberta, alla propria mamma, «che ha custodito i miei figli quando sono venuta in Italia e per sette anni non li ho più visti», spiega non un filo di voce. Francesco Ariatta, riflette: «Certo le cose sono molto cambiate e in poco tempo. Non vorrei che però si nascondessero le difficoltà che a volte si creano. Ritengo che dobbiamo, noi nonni per primi, cercare di intuire quali siano i problemi e le difficoltà dei ragazzi, di che cosa hanno bisogno anche se non lo esplicitano. Oggi con il nipote sto imparando ciò che con le mie figlie, per gli impegni del lavoro, avevo in gran parte delegato a mia moglie. Credo che il nostro ruolo sia fondamentale perché proponiamo valori che oggi, nella società, sono spesso messi tra parentesi. Il compito del nonno deve comunque essere giocato insieme a quello del genitore, cui spetta il primo indirizzo. Bisogna che il nipote capisca che il nonno non sostituisce il padre o la madre», conclude Ariatta che, per essere vicino alla famiglia della figlia, si è tempo fa trasferito.
D’altra parte, che la presenza dei nonni sia insostituibile anche per la società, lo si comprende anche solo ascoltando Giovanna Rossi, sociologa della Cattolica, che delinea le cifre di una dimensione «non marginale». Dodicimilioni cinquecentomila, circa, i nonni italiani, pari al 20% della popolazione. «Una presenza significativa e attiva che tende ad aumentare per l’invecchiamento della società e per il calo della natalità. Basti pensare che l’indice di vecchiaia in Italia è del 151,4%, che significa che per cento giovani ci sono 154 anziani ultrasessantacinquenni. Inoltre, dal 2008, complice la crisi economica, siamo entrati in una fase di denatalità».
Particolarmente importante anche la realtà delle famiglie cosiddette multigenerazionali che indicano un nuovo tipo di relazione. «Nonni che si curano dei nipoti, ma hanno una loro volta un impegno, come il volontariato, mentre sta crescendo anche la “generazione sandwich”, soprattutto delle donne, che si occupano di figli, magari dei nipoti e, contemporaneamente, dei genitori».
Insomma, uno scenario che sta mutando e i cui rimane cruciale, secondo Rossi, «riflettere sulla generatività dei nonni che è indiretta, ovviamente, non sperimentata in prima persona, ma che, appunto per questo, diviene testimonianza, nella gratuità, della relazione. Il salto generazionale dei nonni che si occupano dei nipoti, non è scontato e definisce una sorpresa, che spesso è fatta di reciprocità per cui i giovani aiutano gli anziani a essere al passo con il mondo e a superare le difficoltà. A fronte, ad esempio, della frattura di un divorzio tra i genitori, il ruolo dei nonni è rilevante perché riesce a creare un contesto relazionale non interrotto e in cui il figlio dei genitori in situazione di separazione trova un suo posto».
«Le istituzioni dovrebbero riconoscere tale ruolo», scandisce Rizza, convinto «della grande capacità di tramandare conoscenze e storia non solo familiare ai nipoti», come lui, infatti, si impegna a fare personalmente. «Sarebbe necessario un pubblico riconoscimento, perché sotto l’aspetto educativo abbiamo una grossa responsabilità».
Concorde sulla necessità di un riconoscimento da parte istituzionale il vicario episcopale, monsignor Luca Bressan che, in quattro punti, tira le conclusioni dell’incontro.
«Il primo verbo è l’osservare che i nonni sostengono l’Italia, ma nessuno sembra rendersene conto, pensiamo cosa accadrebbe se non ci fossero. Secondo, riflettere che, oltre i servizi, la loro presenza a livello simbolico, allarga i confini della famiglia, realizzando una “generatività allargata”; terzo, contemplare che tutta l’energia profusa produce del bene, come il dare continuità in famiglie frantumate nelle quali i genitori si sono separati o hanno divorziato».
Se questo, per Bressan, è «un vero e grande dono», il quarto verbo riguarda la Chiesa che, in un mondo che cambia, è chiamata a progettare, anche attraverso la “nonnità”, il ruolo dei genitori, perché la cultura sta cambiando così come la sua grammatica. «In questa logica va letto l’appello del Sinodo, richiamato spesso dal cardinale Scola, a creare una famiglia che sia soggetto vivo di evangelizzazione».