Un Centro Culturale che, persino nel suo nome, intende sottolineare il rapporto stretto, forte e, fondamentalmente, costruttivo con Milano, la città in cui è nato ben 35 anni fa.
Era, infatti, il 1981 quando, seguendo un’intuizione di don Giussani nata dalla collaborazione con Giovanni Testori, il “Centro culturale di Milano”, apriva le sue porte. E, oggi – festeggiando così, l’importante traguardo pluritrentennale con l’inaugurazione della nuova sede in Largo Corsia dei Servi –, si guarda al futuro, con le radici saldamente piantate in tutto ciò che, in tanti campi della cultura (ed è molto), è stato fatto nel passato
Nel corso del 2015, siglata la Convenzione gratuita con il Comune di Milano, che ha rilasciato la gestione della palazzina di proprietà della Diocesi (che già ospitava la Fondazione Lazzati), si è dato il via ai Lavori di ristrutturazione che hanno portato all’inaugurazione affollatissima. Tra stendardi con il nuovo, accattivante, logo, moderne poltrone dai bei colori sgargianti, è stato così presentato il nuovo programma che attende il Centro attraverso gli interventi di tanti nomi noti della Milano artistica, culturale, istituzionale e, naturalmente, di rappresentanti autorevoli della Diocesi. Camillo Fornasieri, direttore e anima del “Centro”, modera l’incontro, evidenziando la soddisfazione per la nuova sede – resa possibile con il finanziamento di un Bando della Fondazione Cariplo – e le tante iniziative, come la libreria, presente nella sede o l’attività del “Teatro degli Incamminati-Spazio Banterle”.
«Vogliamo vivere il congiungimento della cultura con la vita», spiega davanti moltissimi ospiti, tra cui Mahamoud Asfa della Casa della Cultura Islamica, la regista Andrée Ruth Shammah – ci siamo conosciuti grazie a Testori, dice ancora Fornasieri –, il presidente e la vicepresidente del CMC, il presidente di Area Expo, Bonomi.
A prendere la parola è l’assessore alla Cultura del Comune, Filippo Del Corno, «La convenzione – spiega – è stato un passaggio molto importante ha restituito questo luogo a una piena funzione pubblica, un elemento di profondo arricchimento,di specifica dimensione pubblica. Di fatto ciò che avviene in termini di proposta e di ideazione di forme di dialogo contribuisce a elevare il livello del dibattito pubblico che alimenta Milano. È così si irrobustiscono i valori che stanno alla base e alla radice di valori culturali e che sprigionano sempre di più visioni del mondo per il tempo presente e futuro. Questa pianta saprà produrre ossigeno di idee: è il regalo più significativo che il “Centro” restituisce alla metropoli, attraverso un processo amministrativo come una Convenzione, che, però nel suo vero significato, indica un patto condiviso», conclude.
Poi è la volta di monsignor Julian Carron, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, che richiama don Giussani, il suo insegnamento e il ruoo di una cultura capace di umanità e di un’umanità capace di cultura non libresca.
Salvatore Carruba, giornalista e presidente del Piccolo Teatro, scandisce: «Il Centro Culturale di Milano testimonia l’incrocio delle vocazioni della metropoli, il cuore romano antico (nel sottosuolo, anch’esso recuperato, vi sono le Terme Erculee), l’identità cristiana, e la metropoli brulicante del turismo e dell’impresa e del business». Insomma, «un vero simbolo della città».
Da qui il ruolo di un’istituzione come il “Centro”: «contribuire a tenere accesa la fiammella di libertà del dibattito, la speranza di Milano, la scommessa sulla metropoli, alimentare l’esperienza della sussidiarietà, ricostruendo un welfare ambrosiano, basato su un modello non è più centralista, e tutelare un cammino comune».
Poi, monsignor Luca Bressan, vicario episcopale che rappresenta l’Arcivescovo, che richiama, scherzosamente, come l’edificio appartenga all’Ente Diocesano dell’Istituto di Sostentamento del Clero: «l’affitto serve anche a me e tutti i preti, per cui non posso che essere grato».
«L’Arcivescovo, tramite me, tiene a sottolineare l’importanza di tornare a fare cultura: Il “Centro” lo può fare in tre modi: aiutando a dilatare i confini della ragione, come dice san Paolo nella Lettera ai Romani, “ampliando la nostra mente”. Abbiamo bisogno di allenarci, ma soprattutto di costruire strumenti per ampliare la logica. Inoltre, ci serve un luogo che ci educhi alla cattolicità, nel senso tecnico, di tenere insieme il tutto». Per usare le parole di san Massimo il Confessore, utilizzate dal cardinale Scola nella Lettera pastorale, “Educarsi al pensiero di Criasto” “Pensare tutto in Cristo e Lui attraverso tutte le cose”.
«Lo dico – prosegue Bressan – a partire da una sede che è stata offerta dall’allora cardinale Martini alla “Fondazione Lazzati”. Tutta l’identità che è stata presente qui con una figura fondamentale come Giuseppe Lazzati indica che sarà interessante e necessario per la Diocesi, rileggere il passato per capire il futuro».
Infine, la terza consegna: «Ci servono luoghi che favoriscano l’irruzione del reale, cioè la capacità che ha il mondo di stupirci con dei mutamenti che non sappiamo elaborare, per cui non riusciamo nemmeno a nominare le cose, ma che esistono e con i quali occorre fare i conti. Luoghi, cioè, che ci aiutino a vedere con la mente ciò che già sentiamo con le emozioni, basti pensare ai profughi».
In prima fila siede e annuisce padre Ambrogio Makar della Chiesa ortodossa Russa, cui è stata affidata la chiesa, vicinissima al CMC, di San Vito al Pasquirolo. Fatto che è quasi un emblema concreto del dialogo e dei nuovi fenomeni del mondo globale (padre Makar dona al “Centro” una bella icona della Madonna Madre Odigitria).
Infine, è al vota di Cristina Cappellini, assessore alla Cultura della Regione – «Ripartire da radici profonde che, come diceva Tölkien, non gelano mai, sapendo chi siamo e da dove veniamo, guardando con speranza al futuro» – e di Raffaele Cattaneo, presidente del Consiglio Regionale che rammenta il passato di adesione al “Centro” anche suo personale all’inizio del anni Ottanta e evidenzia l’attuale apertura internazionale dell’Istituzione. «Incontrarsi con chi è diverso aiuta a cogliere parte di noi e della verità che insieme cerchiamo. Questo mondo che cambia ha bisogno di essere pensato e, se non lo facciamo, non lo capiremo mai».
E, alla fine, prima del momento conviviale, un attesissimo breve monologo di Giacomo Poretti, impossibile da sintetizzare, ma con quell’augurio che è un viatico per il futuro: «Lunga vita al CMC!».