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31 marzo

«I detenuti accoglieranno Scola
come un padre di vita e di fede»

Il cappellano don Silvano Brambilla presenta la visita dell’Arcivescovo al carcere di Busto Arsizio: il Cardinale celebrerà la Messa, visiterà i ricoverati in infermeria, incontrerà i lavoratori e dialogherà con loro

di Luisa BOVE

29 Marzo 2015

Ultimi giorni di attesa per i detenuti di Busto Arsizio, che martedì 31 marzo accoglieranno per la prima volta il cardinale Angelo Scola. Alle 15 l’Arcivescovo celebrerà la Messa in cappella, dove saranno presenti, oltre ai carcerati, anche operatori e volontari.

«Sarà soprattutto un incontro e verrà accolto come un padre, nella vita e nella fede», spiega don Silvano Brambilla, cappellano da 17 anni e grande conoscitore di umanità. Per la celebrazione hanno previsto piccoli gesti all’offertorio: «Oltre alle particole, porteremo un pane confezionato nel laboratorio di panificazione interno al carcere, il vino, un grappolo d’uva e una luce con i fiori». Al termine della Messa l’Arcivescovo riceverà in dono «i dolci prodotti dai detenuti nella pasticceria», quindi si fermerà a dialogare con chi ha commesso reati comuni. Alle 16.45 visiterà i detenuti ricoverati in infermeria, poi si trasferirà nella sezione Trattamento avanzato dove si trovano i lavoratori (oggi un terzo della popolazione carceraria), a quell’ora rientrati dalle loro occupazioni. «Stiamo preparando alcune domande da rivolgere al cardinale Scola», dice don Silvano, e sarà un momento di grande intensità.

Oggi nella Casa circondariale di Busto Arsizio vivono 310-320 detenuti, tutti uomini, di cui il 60% stranieri (130 sono in attesa di giudizio e quasi 200 sono appellanti e definitivi). «Il carcere ha subìto una condanna dalla Corte di Strasburgo e con le nuove norme la popolazione carceraria è stata ridotta (nell’aprile 2014 c’erano circa 440 detenuti) – continua il cappellano -. Questo ha voluto dire una migliore convivenza: ora in cella ci sono due persone e non più tre». Finalmente dopo 4 anni di attesa per mancanza di personale è stato aperto un nuovo reparto: si tratta della sezione di riabilitazione per detenuti disabili o che hanno bisogno di terapie riabilitative. «Ospita detenuti del nostro carcere di Busto e quelli provenienti da altri istituti di pena, anche se i numeri sono ancora molto ridotti».

In 17 anni don Silvano ha visto passare tantissimi carcerati, che a volte lo cercano anche da liberi o gli scrivono da altri istituti di pena quando vengono trasferiti. La sua giornata a Busto inizia con «il giro del mondo – come dice lui – per indicare la diversità di cultura, lingua, religione…». E ammette: «Qualche volta la diversità è fonte di difficoltà o di ostacoli alla vita comune, altre volte invece è una ricchezza. Per esempio nelle feste ci scambiamo gli auguri: i musulmani a Pasqua e a Natale, i cristiani al termine del Ramadan e nel giorno del Sacrificio». Ma soprattutto, spiega don Silvano, durante il colloquio «cerco di incontrare l’uomo, con i suoi problemi, la sua realtà, le sue fatiche…» e insieme a volontari e operatori «cerco le diverse risposte che si possono dare». Crede infatti molto al lavoro in rete: per questo mantiene i contatti con familiari, avvocati, associazioni e istituzioni.

Non mancano occasioni per far conoscere la realtà carceraria anche all’esterno. Qualche settimana fa don Silvano ha partecipato all’iniziativa diocesana «Giovani e carcere» con un gruppo di 50 ragazzi che hanno incontrato altrettanti detenuti a Busto. A febbraio invece, insieme ai volontari, ha organizzato un incontro in carcere e poi nel teatro parrocchiale sulla giustizia riparativa: «Abbiamo invitato due donne: la vedova di un carabiniere ucciso nel 2011 e la mamma del giovane che ha commesso il reato. È importante una presenza in carcere, ma anche le famiglie dei detenuti e soprattutto le vittime hanno bisogno di accoglienza, sostegno e ascolto».