Il compito dei genitori dell’educazione cristiana dei figli è messo, oggi, seriamente in discussione dalla molteplicità e diversità, a volte frastornante e massificante, dei messaggi che i bambini, i ragazzi, gli adolescenti ricevono oltre la testimonianza dei genitori.
Spesso i genitori sono tentati di arrendersi di fronte a un compito che sembra al di sopra delle loro forze. Alla radice forse sta il fatto che gli stessi adulti, genitori e non, sono incerti circa i valori di fondo che sono chiamati a trasmettere prima ancora che con la parola con i fatti, con uno stile di vita più in sintonia con la fede cristiana.
I ragazzi guardano il mondo degli adulti «di sbieco», con uno spirito critico, che non si lascia convincere primariamente dalle parole, anche quando sono ripetute insistentemente, ma piuttosto da uno stile di relazione, da un modo di porsi nella vita quotidiana, dal modo di «raccontare» la fede come ciò che si è ricevuto e dà ragione, senso, respiro costante alla propria vita.
Non si tratta di affermare la necessità inderogabile di una coerenza, cosa alquanto ardua, nella testimonianza della fede, ma piuttosto di trasmettere ciò che come adulti e in specie come genitori si crede per la propria persona. Si trasmette veramente ciò in cui si crede con tutto se stessi, nonostante i propri limiti e i propri errori. I figli hanno bisogno di vedere, di intravedere meglio, nei genitori e nel mondo adulto una passione d’amore che muove a vivere secondo il fascino suscitato dalla testimonianza prima e singolare di Gesù nella storia.
Il centro della fede, il cuore pulsante di una fede viva è «la memoria di Gesù», che i genitori possono raccontare ai figli con il riferimento a volte esplicito, a volte indiretto a quell’uomo che chiamava Dio: «Abbà, Papà».
La domanda viene spontanea a questo punto: quanto e come i genitori hanno fatto e continuano a fare una reale esperienza della fede in Gesù, quanto e come hanno interiorizzato una fede come personale relazione con Gesù mediante l’azione dello spirito nella comunità cristiana?.
Se si trasmette ciò che si vive, allora la questione prima per i genitori è lasciarsi educare nella fede, è ricominciare per molti un itinerario di fede insieme i figli, che possa ridare volto definito al Dio di Gesù nella propria storia, che permetta di riallacciare una relazione di amicizia con Gesù in ogni parola evangelica che fa eco di lui nella comunità cristiana.
Sì, è proprio vero che si educa altri e in particolare i piccoli nella fede alla sola condizione che ci si lasci educare, ci si lasci di nuovo interpellare come i primi discepoli, come ogni uomo e ogni donna che nella storia ha accolto la chiamata alla sequela di Gesù. Potremmo dire che i genitori prima che essere padre e madre nella fede dei propri figli sono chiamati ad essere «fratelli e sorelle maggiori» nella fede.
I genitori lasciano con i loro passi nella fede le orme che i figli dietro possono seguire per giungere alla gioia dell’incontro con Gesù, alla iniziale e progressiva sequela di Gesù. Si dirà che questo è il compito stesso della Chiesa intera e di ogni comunità cristiana adulta. È vero, ma il primo alfabeto della fede non può che essere trasmesso in famiglia. Parole e vita si intrecciano tra loro, risuonano con una vitalità sorprendente e mai ripetitiva nel cuore e nella mente dei figli quanto più sono nutrimento quotidiano per i genitori, per gli sposi che condividono il loro cammino di fede nella logica profonda dell’Amore reciproco, secondo il comandamento evangelico.
Così si esprime il Documento Base del rinnovamento catechistico italiano: «La catechesi familiare trova la sua originalità e la sua efficacia nel carattere occasionale e nella immediatezza dei suoi insegnamenti, espressi innanzi tutto nel comportamento stesso dei genitori e nella esperienza spirituale di ciascuno. Al magistero della vita, si unisce provvidamente il magistero della parola che, in famiglia, è quanto mai semplice e spontaneo»(n.152).
I genitori sentano il bisogno di mettersi in ascolto della Parola di Gesù per sedersi poi con i figli sin da quando essi sono nella tenera età e raccontare non solo favole ma una storia di cui tutti ci sentiamo parte, la Storia della grande famiglia di Dio.
Come ci ricorda il racconto biblico nel libro del Deuteronomio (26,5ss.) i padri narrino ai loro figli la storia dei padri che ci hanno preceduto: «Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto…». La narrazione si fa intrinsecamente racconto di vita, racconto che introduce nella grande Storia della Salvezza. I genitori, poi, narrano la Buona notizia di un Dio che ha mantenuto le sue Promesse con il dono del suo stesso Figlio.
Certo la catechesi familiare è solo iniziale e/o di ripresa nel tempo della catechesi nella comunità cristiana, ma quanto può nutrire tutti i membri della famiglia come e più del pane quotidiano!