1. Da dove venite, pellegrini?
Veniamo da una vita che ci ha stancato, una vita logorante per le preoccupazioni quotidiane, per i rapporti complicati e mortificanti, per le situazioni difficili di malattia, d’insoddisfazione professionale, di problematiche economiche.
Veniamo da una storia segnata dal peso del peccato. Non siamo stati all’altezza dei nostri compiti. Abbiamo commesso azioni di cui ci vergogniamo, causato danni ai quali non è stato possibile rimediare. Ci pesano addosso i sensi di colpa per quello che avremmo dovuto fare e non abbiamo fatto, avremmo dovuto dire e non abbiamo detto, avremmo dovuto considerare e non abbiamo considerato.
Veniamo da una solitudine che ci ha reso tristi. Viviamo mortificati dall’impressione di non essere interessanti per nessuno. Veniamo da giornate passate senza scambiare una parola. Veniamo da lacrime ignorate da tutti perché ci aspettavamo una visita almeno dalle persone alle quali abbiamo fatto del bene, e nessuno è venuto a visitarci. Veniamo da quella specie di desolazione che viene dal molto lavorare senza un grazie, dalle opere di volontariato che hanno scaricato su di noi, come a dirci: “Arrangiati!”.
2. Quale parola vi è rivolta, pellegrini?
«Circondati da una tale moltitudine di testimoni…».
La testimonianza apostolica illumina il cammino di coloro che si riconoscono come pellegrini di speranza. Coloro che sanno riconoscere l’opera di Dio nella storia passata e nella situazione presente, se talora possono lamentare una solitudine fisica, psicologica, familiare, sono invitati ad avere uno sguardo di fede. La fede riconosce la moltitudine dei testimoni: sono i santi del passato remoto, sono i santi del passato recente, sono i santi della porta accanto, quelli che ancora vivono sulla terra e che ammiriamo.
La moltitudine dei testimoni è la comunione dei santi che professiamo nel Credo. Talora quello che professiamo nel Credo sembra una verità astratta e lontana. Abbiamo bisogno di fare esperienza della presenza dei santi, di coltivare relazioni con i santi “nostri amici”. Conoscere le vite, leggere le opere, invocarli nelle preghiere.
Quali sono i santi nostri amici? Giovanni XXIII, per esempio; giovani e ragazzi, come Carlo Acutis e Piergiorgio Frassati, per esempio; donne diventate sante nella vita di famiglia e nella vita consacrata, come Rita da Cascia e Gianna Beretta Molla, per esempio. Non tutti i santi sono stati elevati “agli onori degli altari”, ma molti ci parlano, ci confortano, ci sono vicini, dal Cielo o dalla terra. Chi sono? come ci ispirano?
«Deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia…».
Il Giubileo è la grazia di unire al perdono dei peccati l’indulgenza plenaria. Poter dire: “finalmente!”. La grazia del Giubileo può restituirci la leggerezza, la semplicità, la fiducia, consegnando al Signore quello che ci pesa, quello che ci tormenta, i sensi di colpa per il male compiuto o il bene evitato, il groviglio di rapporti inestricabili, le conseguenze delle imprudenze o delle trasgressioni che hanno lasciato un segno inguaribile. Finalmente guariti!
Il Giubileo incoraggia a fare proprio il grido di coloro che incontrando Gesù hanno chiesto la guarigione. Il male che potrebbe essersi radicato nella nostra intimità rischia di essere una malattia con cui bisogna “imparare a convivere”. Molti lebbrosi – si può immaginare – si sono rassegnati e hanno cercato di tirare avanti anche se segnati dal male. Gesù si rivela potenza di Dio che guarisce. Per guarire ascolta il grido dei malati, i lebbrosi, i ciechi, i paralitici, i posseduti. I discepoli, anche i preti, possono gridare a Gesù per essere guariti; possono accogliere Gesù in casa, pieni di gioia, per decidersi a cambiare vita.
Gesù opera la liberazione dal male che sembra possedere senza rimedio: l’insensibilità verso il soffrire altrui, l’affettività pervertita in egocentrismo narcisistico, la viltà, l’autoreferenzialità. I buoni propositi sono inefficaci se non diventano grido rivolto a Gesù.
«Tenendo fisso lo sguardo su Gesù…».
Non guardare indietro, dunque: sei stato perdonato! Sei stato perdonato da «colui che è stato trafitto» (Is 53,5); «consegnò lo Spirito […]. Uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19,30-37). L’esercizio dello sguardo è la verifica della fede. Chi guarda verso Gesù e lo segue, si affida a lui, dichiara la convinzione che Gesù è la via della vita.
Papa Leone XIV nella celebrazione della prima Messa come Sommo Pontefice ha commentato il famoso episodio di Cesarea: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15). Che cosa possiamo rispondere? Tu sei, Signore, colui che mi chiama e mi salva. Tu sei il Signore, il medico che guarisce le nostre piaghe ferite. Tu sei il Signore, il maestro che aiuta a pensare non secondo gli uomini, ma secondo Dio. Tu sei il Signore, l’amico che rimane con noi.
«Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto […] vi ho chiamato amici» (Gv15,5.15). «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). La relazione che Gesù vuole vivere con i suoi discepoli si carica di un intenso investimento affettivo: non solo discepoli, non solo collaboratori per la missione, non solo malati guariti motivati dalla riconoscenza. Gesù si propone come amico e invita a quel dimorare che è inesauribile fonte di stupore e di gioia.

